Il primo tavolo Ilva del nuovo governo

Il ministro Urso ascolta i sindacati e detta la linea del governo sulla siderurgia

Il primo tavolo Ilva del nuovo governo

Si è tenuto questa mattina il primo tavolo Ilva convocato dal nuovo governo. Presenti nell’aula del parlamentino del Mise, con i ministri Urso e Calderone, i sindacati metalmeccanici, Confindustria Taranto, Invitalia, e le Regioni Lombardia, Liguria, Piemonte e Puglia.

Urso in apertura ha spiegato la posizione del governo sullo stabilimento Ilva e la siderurgia: “Mettere in campo una chiara politica industriale che porti al mantenimento di una asset strategico per il Paese, a beneficio di tutta l'Europa e nell'interesse anche dei consumatori italiani”.

Il ministro ha detto che l’aula del Parlamentino sarà più volte usata per il confronto con tutte le parti interessate, “dobbiamo instaurare un metodo, espressione di un governo politico che ha davanti a se 5 anni di legislatura, durante il quale deve sviluppare il programma. Abbiamo il dovere non solo di ascoltare ma anche di confrontarci su situazioni fondamentai per il nostro Paese”.

Per Urso la siderurgia è asset fondamentale della nostra manifattura, al quale non possiamo rinunciare, soprattutto nella fase di transizione ecologica e digitale.

Dall’ azienda-ha detto Urso- vogliamo che riprenda rapporto con le organizzazioni sindacali”.

Subito dopo è intervenuto il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci (pd), che però non risultava tra i convocati. E infatti ha ribadito che secondo lui la vertenza occupazionale Ilva non è la priorità per la città. Affermazione irresponsabile considerando che solo a Taranto da quando la produzione Ilva è dimezzata ci sono circa 5 mila cassintegrati, oltre i 1500 portuali e i 500 dell’area di crisi complessa.

Problema che invece hanno rilevato i sindacati, soprattutto la Fiom che ha ricordato della cassa integrazione straordinaria unilaterale per 3000 lavoratori firmata dal ministro Orlando a marzo 2022 senza accordo sindacale e senza piano industriale.

A questa si aggiungono i 1500 lavoratori messi in cassa integrazione da Di Maio nel 2018 per rientrare nel 2023, il cui reintegro è poi stato cancellato dal governo Conte.

Il segretario della Uilm Rocco Palombella invece ha ricordato la situazione industriale in stallo, con due altoforni spenti e la posizione che quest’anno avrebbe dovuto raggiungere i 5,7 milioni di produzione e invece è ferma a 3.

E il motivo è legato alla mancanza di liquidità dal momento che nessuna banca accetta di fare credito a un’azienda con gli impianti sotto sequestro, e la cui solidità viene da dieci anni quotidianamente massacrata da politici locali, attori, cantanti e una narrazione melodrammatica distante dai dati forniti oggi dalle agenzie di controllo.

Del resto il piano ambientale è quasi completato, e oggi con le prescrizioni adottate (uniche in Europa) gli impianti sono in grado di produrre un acciaio a ciclo integrale tra i più puliti al mondo.

Il problema dunque è trovare il circolate necessario per pagare i lavoratori, i fornitori, e gli investimenti per riaccendere gli altoforni.

Per questo il governo Draghi nel decreto Aiuti bis ha introdotto un miliardo che però non è ancora arrivato all’azienda. A tar riguardo l’ad di Invitalia Bernardo Mattarella ha detto che stanno interloquendo con il socio privato per applicare al meglio la norma del decreto aiuti: “condivideremo con il governo la soluzione migliore per l’azienda, i lavoratori e tutto l’indotto”.

Michele Emiliano invece, dopo aver detto qualche giorno fa ad alcune mamme di Taranto che lui Ilva la vorrebbe chiudere ma il governo non glielo permette, al tavolo con Urso e i Sindacati oggi ha detto che “l’auspicio è che lo stato riprenda il filo della strategici dell’acciaio italiano”.

Solo che lui vuole una totale decarbonizzazione, una cosa che non solo non si può fare, non essendoci idrogeno per produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio, ma tantomeno necessaria essendo quello di Taranto l’unico stabilimento ad acciaio integrale rimasto in Italia e non essendo dunque la principale causa di C02 al mondo, rispetto a tutto l’acciaio da altoforno che continuiamo ad acquistare da Cina e altri Paesi in una logica di surriscaldamento globale che è indipendente dal luogo dove la C02 viene prodotta (“se spegniamo Taranto prendiamo acciaio sporco dalla Cina e il risultato ambientale non cambia” ha detto il segretario della Fim Benaglia).

Il ministro del Lavoro Calderone invece è partito esattamente da dove aveva lasciato il predecessore Orlando: garantire la cassa integrazione.

Infine la conclusione di Urso: “dateci il tempo (qualche giorno, non i tre mesi di Di Maio) di costruire una cornice affinché ci sia afflusso fondi pubblici in una condizione di garanzia, verso una strada di riequilibrio della governance”.

E mentre tutti fuori attaccano l’azienda addirittura chiedendo un ritorno alla nazionalizzazione (che tanto male ha fatto sia all’ambiente che ai lavoratori), per assurdo è proprio Bernabè, presidente nominato dal socio pubblico, a difendere il privato: “L’idea originaria era chiara.

Il cambio di governo da questo punto di vista non ha aiutato, perché la situazione è così delicata che non può non avere il consenso e il supporto del governo e il partner (ArcelorMittal) deve essere tranquillizzato del fatto che l’atteggiamento dello stesso esecutivo non cambi nel tempo”.

Di piano industriale si parlerà al prossimo tavolo, se Ilva ci arriva.
Nel frattempo lunedì è sciopero.

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