La Puglia butta a mare Nichi: Sel affonda

Ko alle Camere e nella sua regione. Lui: dialoghiamo con il M5S per governare

Nichi Vendola, leader di Sel
Nichi Vendola, leader di Sel

Roma - «Non fuggo dalla Puglia, la porto al governo», aveva detto venerdì scorso. E gli uomini a lui vicini assicuravano: «Il centrosinistra può contare sulla Puglia. Non ci saranno brutte sorprese grazie al lavoro di Sel e Vendola». Alla prova del voto è stata la Puglia, con un clamoroso colpo di scena, a voltare le spalle al suo governatore e a far stravincere il centrodestra. Un flop di dimensioni inattese, un tradimento evidente, uno schiaffo di una intensità tale da andare oltre ogni ragionevole previsione. Se a livello nazionale, infatti, Sinistra ecologia e libertà si assesta su un deludentissimo 3%, in Puglia il partito di Vendola, nell'epicentro del suo potere, si ferma al Senato al 6,89%.

La sconfessione ha del clamoroso, somiglia a una sorta di sfiducia ad personam, a un sonante avviso di sfratto. Tanto che fin dal pomeriggio arrivano i primi «inviti» indirizzati al governatore. «Attendiamo di conoscere dal presidente Vendola, che rappresenta il 7% dei pugliesi, la data delle sue dimissioni dalla Regione» attacca l'europarlamentare pugliese del Pdl Sergio Silvestris. L'emorragia di consensi, d'altra parte, è limpida e incontestabile, così come la grande ripresa del Pdl guidato da Raffaele Fitto. Rispetto alle Regionali che nel marzo 2010 confermarono Nichi Vendola presidente della Regione, Sel perde il 3% (aveva preso il 9,7% dei voti). Ma il risultato dei vendoliani in Puglia peggiora ulteriormente se si considera che, nella coalizione di centrosinistra che lo sosteneva alle Regionali del 2010, Vendola aveva anche una lista che si ispirava a lui, La Puglia per Vendola, che ebbe il 5,5%. Se si sommasse questo risultato a quello di Sel, il risultato odierno sarebbe praticamente la metà di quello di due anni fa. Più difficile, invece, il confronto con le Politiche del 2008. Vendola allora era ancora con la Sinistra arcobaleno che non ebbe rappresentanti in Parlamento.

L'obiettivo minimo all'interno di Sel era fissato a quota 9%. Alla prova dei fatti si è verificato lo scenario peggiore. E nel partito si fatica a farsene una ragione. C'è chi punta il dito contro il sostegno dato dal Pd al governo Monti e contro il tradimento «dei nostri valori di sinistra», contro una scelta che ha funzionato come brodo di coltura per la moltiplicazione dei voti grillini. E c'è anche chi rimprovera il leader per non aver portato il Paese alle urne all'indomani della dimissioni di Berlusconi. In questo clima di tensione, l'autocritica fatica a venire alla luce, come dimostrano le parole di Nicola Fratoianni. «Sorprende in negativo il dato Pd. Forse una campagna diversa avrebbe aiutato di più la coalizione». E Vendola in serata prova a rilanciare.

«No al governissimo, sarebbe la più velenosa delle sciagure, renderebbe precaria la sorte della democrazia, non potrebbe che moltiplicare la distanza del popolo italiano dalla politica di palazzo». Con Grillo «dobbiamo parlare dell'agenda dei primi 100 giorni e vedere se questa rivoluzione incontra la loro passione civile».

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