di Vittorio Feltri
Non è una novità che tendiamo a ripetere gli stessi errori. Mutano le circostanze, talvolta, ma il piede sulla classica buccia di banana lo mettiamo quasi apposta, anche se ci rendiamo conto che finiremo a gambe all'aria. Nelle piccole come nelle grandi cose della vita, caschiamo immancabilmente nel medesimo modo. Non mi tiro certo fuori dal mucchio dei miei simili. Però evito di citarmi per pudore, e prendo in esame l'esperienza di gente che si è confidata con me: colleghi di lavoro, per lo più.
Puntuale come una cambiale, ogni anno arriva agosto. E alcuni presunti anticonformisti, compiacendosi di non aderire al rito collettivo della vacanza forzosa, decidono di rimanere in città. Sono eccitati all'idea di spedire moglie e figli in una qualsivoglia località di villeggiatura e di non seguirli; la scusa per non partire è la solita: nel mio ufficio le ferie si fanno a turno tra giugno e settembre. Tocca a me il sacrificio di stare inchiodato alla scrivania. D'altronde, con questi chiari di luna, c'è poco da protestare: chi ha un impiego ne ha cura. Nulla da obiettare.
Arriva il sospirato momento in cui la famiglia, stipata in auto col corredo di valigie e fagotti, si mette in viaggio. E lui, il finto martire, si frega soddisfatto le mani: e adesso, alé!, mi godo 20 giorni di libertà. Fra i progetti che gli frullano in testa, ci sono mille trasgressioni, anche quelle confessabili solamente agli amici allo scopo di farli scoppiare d'invidia.
Il nostro non ha fretta, avendo davanti a sé la bellezza di tre settimane. E già la prima sera, rientrando a casa, pregusta il piacere di trovarla vuota e silenziosa, massì, anche un po' buia, le tapparelle giù, l'aria condizionata a palla, tutti i canali tivù a disposizione, abbuffata di Olimpiadi, via i vestiti, la gioia di starsene in mutande, zero rimbrotti, una pace ristoratrice come la birra fresca nel bicchiere appannato. L'immaginazione è il migliore edulcorante dell'esistenza. L'inizio dell'avventura solitaria è denso di promesse. Ma è un'illusione, e dura poco. Basta un languorino a rompere l'incantesimo. Il nostro infatti spalanca il frigorifero nella speranza di estrarre cose squisite, ma davanti a sé si para il vuoto: solo due pezzi di formaggio secco, una scatola di sardine aperta.
Ovvio: la signora prima di svignarsela aveva provveduto a esaurire le scorte affinché niente andasse a male. Per essere la cena d'esordio del single precario, non è delle migliori: passino le sardine, però il taleggio duro come un sasso è un colpo mortale. Fortunatamente, lo scomparto bibite è ricco di «bionda». Mezza sbronza aiuta a sopportare il digiuno, ma non le tribolazioni gastriche dovute all'eccesso di alcol.
Vabbè. Il neoscapolo il dì appresso si propone di organizzarsi. Incursione al supermercato durante la pausa di pranzo, cosicché il frigorifero verrà opportunamente riempito di cibi appetitosi. Espletata la pratica, lui va in ufficio e alcune ore volano. Un istante prima di uscire, un collega anch'egli della schiera di quelli che adorano trascorrere agosto nella metropoli, lo invita al ristorante. Addio prelibatezze in frigo. «Dove ci rechiamo?». Comincia la ricerca del locale. «Guardiamo su Internet?». Il più vicino è a tre chilometri: «Pizzeria da Peppino». «Che ne dici?». «Proviamo».
Una «margherita» è comunque preferibile alle sardine. Entrambi si accorgono però che non c'è nulla di più triste che cenare in una pizzeria periferica conversando con un collega. Dopo cinque minuti di chiacchiere varie, il discorso cade su vicende professionali. Gli avvocati discutono del cattivo funzionamento della giustizia. I medici di malattie e di congressi. E i giornalisti? Sparlano di qualsiasi redattore del loro quotidiano, e specialmente del direttore, il cui nome non viene neppure pronunciato; il capo è definito dalla categoria così: «Lo stronzo».
Alle ore 23 i single pro tempore rincasano nauseati. Tanto per cambiare, il nostro accende il televisore e scopre con raccapriccio che le Olimpiadi sono agli sgoccioli. La gara più divertente è il sollevamento pesi. Terminata la quale, attacca il nuoto sincro, appassionante e movimentato quanto una filza di paracarri. Non resta che andare a letto e leggiucchiare alcune pagine del libro che sta sul comodino da un paio di settimane: formidabile antidoto all'insonnia.
Il nostro tuttavia non si scoraggia. «Domani mi invento un programmino. Qui serve un guizzo di fantasia». In fondo si tratta di consultare la rubrica del cellulare: una vecchia cara amica disponibile si rintraccia di sicuro. Lui ne è convinto e fa un primo tentativo: «Ciao come stai? Sei in città?». «No, tesoro, sono a Milano Marittima».
Attimo di scoramento. Secondo tentativo: «Il numero da lei chiamato è inesistente». Terzo tentativo: a vuoto anche questo. Quarto: «Ciao Carla». Silenzio. Poi un fil di voce: «Non posso, a tre metri c'è mio marito».
Esausto, il poveraccio si adatta a telefonare a un amico. Un successone. Ci scappa un poker condominiale, come ai vecchi tempi. Che brivido. Una bella rimpatriata è quello che occorreva. Alle 2 di notte, persi al tavolo verde 700 euro, due bottiglie di whisky prosciugate dai cinque giocatori, il nostro, nonostante tutto ancora abbastanza lucido, riesce a infilare la chiave nella toppa e a guadagnare il salotto. Si accascia sul divano e dice a sé stesso che questo schifo di civiltà delle «vacanze tutti insieme» e del «tutto chiuso in città», uccide anche il desiderio e la possibilità di commettere qualche peccatuccio. Oddio, il desiderio, un certo desiderio, lui ce l'ha e, sarà per il whisky, sente che gli monta con forza.
Non ha altra soluzione.
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