Vladimir Putin si può criticare per tanti motivi. Diciamo che non è un democratico esemplare (ma chi lo è?), diciamo che ha il piglio di un ducetto: concepisce il potere come uno strumento personale e non ha alcuna sensibilità per i diritti civili (ne sanno qualcosa gli omosessuali). Queste precisazioni per sottolineare, se mai ve ne fosse bisogno, che il «padrone» della Russia non è al vertice delle nostre simpatie. Ma ci pare di poter aggiungere che egli non è peggiore della maggioranza dei capi di Stato che abbiamo visto all'opera nel secolo scorso.
Occorre pensare inoltre che l'Unione Sovietica, dove accadeva di tutto, si è sfasciata poco più di vent'anni orsono e le sue scorie avvelenano ancora la vita politica del grande Paese di cui discettiamo. Di ciò va tenuto conto nel giudicare il comportamento non molto ortodosso del presidentissimo, nato, cresciuto ed educato durante il più rigido regime comunista, al punto da essere stato un dirigente del Kgb. Ciononostante, da alcuni giorni Putin viene bersagliato dai commentatori internazionali, italiani compresi, che identificano in lui una specie di reincarnazione dei despoti sanguinari del Cremlino rosso. E questo è ingiusto.
Significa trascurare, se non dimenticare, che cosa fosse e come agisse la dittatura del proletariato. La quale, specialmente dalle nostre parti, non era poi così disprezzata, anzi aveva parecchi estimatori, tant'è che quello italiano era il partito comunista più forte dell'Occidente. Quando si svolsero i funerali di Leonid Breznev (1982), a Mosca si recò una folta delegazione di nostre eminenti autorità. Altri tempi. Nessuno infatti si scandalizzò, tantomeno i cosiddetti intellettuali (tra cui numerosi editorialisti illustri), tutti «parenti» stretti del Pci.
L'Urss allora ne combinava di ogni colore (citiamo le più grosse: massacri in Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Afghanistan), ma nessuno di coloro i quali ora si stracciano le vesti per la politica aggressiva di Putin batteva ciglio. I soli a protestare erano gli anticomunisti. Lo facevano timidamente perché in soggezione davanti ai compagni (che si atteggiavano a campioni di moralità) ed erano trattati dalla sinistra con sufficienza come trogloditi, sudditi degli americani. Crollato il Muro di Berlino, franato l'impero sovietico, la Russia - lungi dal guadagnare in reputazione per essersi impegnata a recuperare terreno dopo 70 anni di buio democratico e di atroci delitti (leggere Arcipelago Gulag di Aleksandr Solzenicyn per eventuali informazioni) - è talmente scaduta nell'opinione degli illuminati progressisti da essere considerata la patria del male. E Putin ne è diventato il simbolo.
Il nuovo zar di sicuro si è distinto per aver commesso azioni poco lodevoli e non merita di essere beatificato, ma confrontarlo con Stalin e successori è un gioco insensato, da cui egli esce davvero con l'aureola. Probabilmente ha sbagliato a inviare in Crimea l'esercito: non si dirimono certi contenziosi con la minaccia delle armi, anche se, come in questo caso, ci sono di mezzo enormi interessi economici legati agli idrocarburi.
Ma vorrei sapere in che cosa consiste la differenza fra la politica adottata nella presente congiuntura dalla Russia e quella da sempre praticata da altri Paesi in analoghe circostanze: Usa, Francia, Inghilterra, per rammentarne alcuni. La doppia morale è odiosa quanto la guerra. Ma talvolta accettiamo l'una e l'altra. Purtroppo. Almeno evitiamo di essere ipocriti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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