Quei fighetti della sinistra tutti giubbotti e sgomitate

Dissidenti di professione, la sparano grossa per comparire a ogni costo. Il partito li detesta ma spopolano sui social network. Ecco chi sono i narcisisti sferzati da Letta

Quei fighetti della sinistra tutti giubbotti e sgomitate

E così, dopo i Giovani turchi e i «rottamatori», dopo i veltroniani e i dalemiani, dopo i teo-dem e gli OccupyPd, ora abbiamo anche i «fighi». La nuova corrente del Pd, trasversale agli schieramenti tradizionali e destinata a far molto parlare di sé nei mesi che ci separano dal congresso, è stata battezzata dal presidente del Consiglio in persona. Mercoledì scorso Enrico Letta, forse stanco di vedere il suo governo bersagliato ogni giorno proprio dal Pd, ha aperto il fuoco - pacatamente, com'è suo costume - all'assemblea del suo gruppo parlamentare: «Basta giocare a fare finta, a darsi un tono su Twitter, a cercare l'applauso facile, a fare i fighi». Vediamo di capire meglio.
Tanto per cominciare: fighi o fighetti? I giornali si sono divisi nell'interpretazione, ma Letta ha parlato chiaro. Nel mirino non ci sono i «fighetti» - fra i quali, secondo alcune malelingue democratiche, rientrerebbe anche il presidente del Consiglio - ma quelli che «fanno i fighi», cioè che si danno un tono, che sgomitano per comparire, che prendono continuamente le distanze per mettersi in mostra, che la sparano grossa, che non s'azzittano mai, che lavorano soltanto per se stessi in perenne ricerca dell'«applauso facile». Difficile non pensare a Matteo Renzi: così, almeno, lo dipingono da tempo i dirigenti del correntone bersaniano. Per loro il sindaco di Firenze è un provocatore in servizio permanente effettivo, e ogni sua presa di posizione, soprattutto quando gradita all'opinione pubblica, viene irrimediabilmente etichettata come prova di esibizionismo e becera ricerca del consenso. È stato così con il finanziamento pubblico ai partiti, con la politica economica del governo, con la sospensione dei lavori parlamentari chiesta dal Pdl: il Pd ogni volta ha detto una cosa, e Renzi un'altra.
Meglio fighi che sciacalli, ad ogni modo. Proprio in occasione dello scontro sul blocco del Parlamento, un paio di settimane fa, Orfini chiamò «sciacalli» i renziani che s'erano opposti alla richiesta di Berlusconi. I renziani s'infuriarono e scrissero una lettera indignata a Epifani, Orfini replicò sottolineando che si trattava non di un insulto, ma di «un giudizio politico». Insomma: anche a Orfini, ogni tanto, piace fare il figo: come quella volta che, entrato da poco a Montecitorio, chiese invano di avere per sé lo scranno che fu di Togliatti. Un figo di professione è senz'altro Pippo Civati, che ha votato contro la fiducia al governo, sogna un esecutivo con Grillo e si è candidato alla segreteria del Pd. Migliorista in tenera età, Civati è salito alle cronache nazionali come spalla di Renzi, da cui si è poi allontanato per una felice carriera solista che oggi lo colloca al polo opposto. Più a sinistra di lui, infatti, c'è soltanto Laura Puppato, oscura dirigente locale del Pd divenuta, a forza di dissentire, la reginetta dei talk show che piacciono alla gente che piace. Entrambi - come del resto anche il senatore ed ex pm Casson, l'eroe dell'ineleggibilità di Berlusconi - usano una tecnica simile: si dichiarano subito in dissenso, conquistano un'intervista al Corriere o a Repubblica, dopodiché si disinteressano della questione e vanno in cerca di una nuova occasione per «fare il figo». Distinguersi per esistere è un segno evidente della crisi democrat, perché dimostra come il partito, in quanto tale, non sia più percepito come un ancoraggio sicuro che determina le carriere, lo status, il prestigio, ma, al contrario, sia ormai una zattera di naufraghi, o una zavorra che impiomba le carriere e appanna l'immagine. In quale altro partito la portavoce del segretario nazionale si permetterebbe di disobbedire nell'elezione del presidente della Repubblica? Eppure Alessandra Moretti, per «fare la figa» e guadagnarsi un invito in tv, ha allegramente twittato che mai e poi mai avrebbe votato Marini al Quirinale, in barba agli accordi presi dal suo principale.
Sputare nel piatto in cui si continua a mangiare è un'attività piuttosto diffusa nella corrente dei «fighi», e non fa eccezione la neogovernatrice del Friuli. Mesta e lamentosa, Debora Serracchiani fa dell'antidivismo la chiave del suo successo e per colpire il Pd si trincera dietro un buonsenso da Bar Sport: tanto che si fatica a capire se, come dicono a Roma, ci fa o ci è. «Ultimamente tiriamo il sasso e nascondiamo la mano» è la sua ultima perla di saggezza: il riferimento è all'alleanza con il Pdl, ma ha il pregio, come i foglietti dei Baci Perugina, di funzionare sempre. Francesco Boccia, lettiano di ferro e sposo felice di una ministra del Pdl, ha invece deciso di fare il figo difendendo ogni giorno il governo, a prescindere: nel coro assordante di critiche, è un buon modo per farsi notare. Figo di tutt'altra tempra è Dario Franceschini: ha scritto romanzi, si è fidanzato con una giovane e promettente dirigente di partito, s'è fatto crescere una barba vagamente castrista.

L'effetto total makeover si è esaurito presto, ma il neoministro non per questo ha rinunciato ai suoi progetti: oggi (moderatamente) antirenziano, si confermerà abbastanza figo da sopravvivere anche al prossimo cambio di maggioranza. Perché il figo, si sa, se la cava sempre.

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