Quell'antica «linea rossa» che azzoppa la democrazia

Il libro di Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, politico di lungo corso, già socialista lombardiano, è in vendita da qualche settimana. Titolo: La linea rossa, Mondadori editore. È un saggio storico-politico che non si beve come un bicchier d'acqua, ma come un bottiglione (...)

(...) di Frascati: a sorsi. Trattasi, infatti, di centinaia e centinaia di pagine in cui è scritto tutto, ma proprio tutto, ciò che in politica abbiamo vissuto (malamente) da quando eravamo bambini, e L'Unità parlava di Stalin come i giornaloni borghesi della Madonna pellegrina, alleata di Alcide De Gasperi nel portare al trionfo la Democrazia cristiana.
È stupefacente la memoria di Cicchitto: egli si è annotato ogni particolare, lo ha cucito col «filo rosso» e ha così ricostruito la tribolata vicenda italiana, interamente influenzata - negli ultimi settant'anni - dal comunismo e dai suoi derivati. Per gli appassionati di politica - in preoccupante diminuzione - questo testo può non essere la Bibbia (dipende dal loro credo, giacché le ideologie sono morte ma chi ne è stato contagiato è ancora vivo): di sicuro, però, è un manuale, una rammemorazione di qualche pregio. Fosse stato diviso in capitoli più brevi e didascalici sarebbe stato perfetto.
Invece, Cicchitto, che ha evidentemente imparato da Riccardo Lombardi (del quale fui anch'io, indegnamente, un discepolo) l'arte di spaccare il capello, è un analista pignolo: uno di quegli autori, mai soddisfatti di sé, per cui chiude ogni frase, non lascia nulla in sospeso, spiega e rispiega, esemplifica, torna indietro e ricomincia; è un maniaco della precisione, afflitto da una sorta di delirio dell'esattezza. Nel raccontare non gli sfugge una pagliuzza. Dei fatti trascura soltanto le circostanze meteorologiche. Per il resto, c'è l'universo, compresa la nostrana verità. Che non era mai stata detta se non a spizzichi e bocconi. Lui viceversa la dice da cima a fondo; una cronaca ragionata, dettagliata e completa delle porcherie che hanno ridotto l'Italia a Paese ingovernabile, pasticcione, diverso dalle altre nazioni europee.
Ed ecco emergere i motivi per i quali la nostra magistratura è politicizzata; lo Stato di diritto è andato a pallino; il nostro capitalismo privato è stato infestato da quello pubblico; il terrorismo ha dilaniato la società. Cicchitto è bravissimo nel riferire del ruolo avuto da Palmiro Togliatti nel traghettare il Pci dal mare di schifezze staliniane alle acque apparentemente più democratiche di Antonio Gramsci; tuttavia i pungiglioni tossici sono ancora attivi nel corpaccione della patria.
La linea rossa insomma è una corda servita a impiccare chi abbia tentato di superare la spaccatura tra sinistra e destra, e di trascinare la Penisola nella normalità di una democrazia dove i partiti non siano avvelenati dal pregiudizio. Massì, parliamoci chiaro. Un Paese che per decenni è stato schiacciato dal più potente partito comunista dell'Occidente non può che essere e rimanere zoppo, incapace di sviluppare una dialettica idonea a favorire la famosa alternanza.

Qui, nonostante Berlinguer, nonostante Craxi, nonostante Berlusconi, nonostante sia accaduto di tutto, continua a prevalere la cultura del sospetto, la volontà di non considerare legittimo qualsiasi avversario dei progressisti (eredi diretti del comunismo); i quali progressisti si considerano i soli degni di rappresentare il popolo, nonostante poi se ne freghino bellamente del medesimo, come si evince dal loro modo di governare. Un consiglio: profittando delle vacanze, leggete Cicchitto. La sua prosa è una cura preventiva per chiunque corra il rischio di convertirsi alla sinistra.

di Vittorio Feltri

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