Nel giorno in cui una valanga di emendamenti si abbatte sull'Italicum, la riforma elettorale che deve approdare in aula a Montecitorio domani, Enrico Letta benedice l'intesa Renzi-Berlusconi. «La principale riforma strutturale di cui ha bisogno l'Italia», dice il premier, «è la capacità di decidere del sistema politico-istituzionale». Per questo, spiega, «servono una nuova legge elettorale e il superamento del bicameralismo, e sono fiducioso che l'iniziativa che il mio partito ha assunto abbia un risultato positivo. Il più felice sarò io».
Palazzo Chigi si schiera quindi a favore della scommessa del segretario Pd, ben sapendo che l'avvertimento renziano («se si affossano le riforme salta la legislatura») è fondato, e che dalla marcia dell'Italicum dipendono le sorti del governo, e anche i tempi del suo agognato rilancio, con il varo di «Impegno 2014» e il rimpasto futuro, sui cui tempi il governo ha deciso di frenare. Il rischio, ora, è la palude parlamentare, tanto che ieri un parlamentare renziano ammetteva: «Per fortuna i grillini insistono con l'ostruzionismo in aula su Bankitalia, così c'è più tempo per cercare soluzioni ai problemi aperti, a cominciare dal nodo preferenze-collegi». Che la situazione sia a una svolta delicata lo dimostra il fatto che Renzi sia tornato ieri pomeriggio a Roma per guidare in prima persona le trattative, incontrando prima il presidente dei deputati Pd Roberto Speranza e il capogruppo in Commissione Emanuele Fiano, e poi il coordinatore di Forza Italia Denis Verdini e il leader di Ncd Alfano. Sul tavolo, anche l'ipotesi di innalzare dal 35% al 37% la soglia per il ballottaggio che assegna il premio di maggioranza.
Sono più di 300 le proposte di modifica piovute ieri in commissione sull'Italicum da tutti i partiti. «Me ne aspettavo di più, sinceramente», dice il presidente della Commissione affari costituzionali Francesco Sisto (Fi). Una trentina quelli presentati da singoli deputati Pd. Nel partito di Renzi però il compromesso interno regge ed è stato accettato dalla minoranza: gli emendamenti non condivisi dagli altri partiti (leggi Forza Italia, oltre al resto della maggioranza) verranno accantonati. La decisione del ritiro degli emendamenti, eccetto i tre su cui è aperta la trattativa con Forza Italia - quelli su innalzamento della soglia al 38%, primarie previste per legge ma non obbligatorie e delega al governo per le tabelle - è stata ufficializzata in serata, dopo la riunione dei deputati Pd con Renzi, che lo aveva chiesto. Forza Italia ne ha depositati solo una ventina, e per lo più proponendo modifiche marginali a un'intesa su cui, dice Sisto, «noi manteniamo i patti». L'unica proposta che può creare qualche polemica è la cosiddetta clausola «salva Lega», che attribuisce seggi a liste che abbiano superato il quorum solo in alcune regioni. Gli alfaniani invece chiedono l'abbassamento delle soglie per i partitini e il ripristino delle candidature multiple, per poter presentare lo stesso nome in più circoscrizioni. I grillini, con 57 emendamenti, vogliono il ritorno al proporzionale puro con preferenze, modello Prima Repubblica. «Ce lo chiede la rete», annunciano, e si sbizzarriscono in improbabili esercizi di ingegneria elettorale (tipo la «preferenza negativa» diretta a «depennare gli impresentabili» dalle liste).
Matteo Renzi cura passo passo la regia dell'operazione riforme e sfida i «conservatori» (ironizzando sugli appelli anti-riforme firmati da giuristi alla Rodotà), avverte i partitini: «Il testo base è già stato approvato e le modifiche spero siano il più condivise possibile: non è pensabile che per lo 0,5% salti l'accordo». E alza il tiro: «Anche la comunità internazionale sta guardando a questi provvedimenti con attenzione» e questo «vale più di una Finanziaria, più di una legge di Stabilità».
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