Renzi, lo scout berlusconiano usa Vendola per scalare il Pd

Q uel furbacchione di Matteo Renzi si è fregato le mani quando ha saputo
che Nichi Vendola concorrerà anche lui alle primarie 2013. Il sindaco di Firenze fa questo ragionamento. Se fossi solo contro Pier Luigi Bersani, lui vince perché i vecchi arnesi comunisti che lo votano sono più numerosi di quelli che preferiscono me in quanto ragazzetto moderno e rottamatore dei trinariciuti che infestano il Pd. Se però scende in campo Vendola che pesca voti tra gli stessi baluba di Bersani, i due si fanno le scarpe a vicenda e il sottoscritto trionfa. Ecco perché il trentasettenne è stato udito canterellare: «Tra Vendola e Bersani, vince Renzi a piene mani».
Il sindaco di Firenze crede nel successo. La sua macchina propagandistica è a punto. Si è collegato con altri sindaci dalle Alpi al Lilibeo, specie centristi e cattolici, e ha predisposto centinaia - pare settecento - comitati elettorali pronti a entrare in azione. Spera fortemente che l'organizzazione delle primarie faccia acqua da ogni porta permettendo che si intrufolino anche i passanti in modo da raggranellare voti al di fuori della sinistra: cattolici, moderati, pidiellini criptati con occhiali e baffi e, almeno nella sua città, i peruviani di Firenze che tanto l'hanno aiutato a diventare sindaco.
Da quanto detto finora, anche chi ignora tutto di Renzi, avrà capito che è un sinistro sui generis, non ha il mito di Berlinguer e vorrebbe mandare in pensione lo stato maggiore del Pd, da D'Alema e Rosy Bindi all'ultima frattaglia. Si sarà intuito che è un furbo di tre cotte, di parlantina sciolta, tanto disinvolto e spiritoso da venirti a noia. Una volta lo vidi in tv da Fazio. L'intervista durava mezzora, dopo un quarto d'ora, tramortito dalle battute, sono passato a un film iraniano per riequilibrare. Il primo articolo della Costituzione? Per lui è: «L'Italia è una Repubblica democratica affondata sul lavoro». Questa spigliatezza piace invece un sacco al Cav. Recentemente, l'Espresso - che come ogni giornale colleziona la sua quota di bufale - ha scritto che il Berlusca punterà a sorpresa su Renzi per Palazzo Chigi. Matteo ha colto l'occasione per rifare lo spiritoso: «Il piano esiste! Lo hanno firmato, oltre e Verdini e Dell'Utri, Jack lo Squartatore e Capitan Uncino. Ma non accetto finché non me lo chiede il mostro di Loch Ness». La prima volta che incontrò Matteo, il Cav gli disse: «Ma come fa uno come lei a vestirsi di marrone e a stare con i comunisti? Venga con noi». Renzi, che è il classico trentenne post ideologico, non ha l'ombra delle fregole antiberlusconiane dei Bersani e dei Franceschini. Da sindaco, è anche andato trovare il premier ad Arcore per spillargli quattrini pro Firenze, facendo spallucce alle polemiche che ne sono seguite. Al dunque, però, è tutta una monferrina e tra loro non c'è nulla.
Matteo è un calcolatore con una spessa pelliccia sullo stomaco. Prendiamo le primarie. Se vince, lascia in anticipo la guida della città. Che dirà agli elettori? Niente. Se ne impipa e bada alla carriera. Ma non sarà una gran perdita. Come amministratore è una frana nella media. È pieno di sé e sbaglia spesso. Quando fece le aree pedonali, il suo fiore all'occhiello, ha pasticciato al punto da impedire ai residenti l'uso dell'auto, imprigionandoli in casa. Ha rimediato alla bell'e meglio, facendo grama figura. È uno dei sindaci più feroci in fatto di multe. Ha messo in bilancio - ossia, dà per scontato di incassarli - 52 milioni di euro per contravvenzioni nel 2012, strabattendo il suo già esoso predecessore, Leonardo Domenici. Sulle nomine, assicurò che avrebbe scelto in base al merito. Ha invece sostituito i cooperativisti rossi delle amministrazioni passate con i suoi amici d'infanzia degli scout e delle parrocchie. Il centrodestra gli rinfaccia di avere fatto - con questi chiari di luna - viaggi in Usa e in Sudafrica in business class come uno sceicco saudita. Ha una segreteria di trenta persone tutte per sé, tra le quali la figlia del direttore del Corriere fiorentino, integerrima collega ma oggi forse in imbarazzo. Dei nove addetti stampa del Comune, tre sono lì solo per fare da megafono ai suoi sospiri. Qualsiasi cosa dica i suoi araldi inondano le redazioni di sms, tipo «guarda facebook, c'è una dichiarazione di Matteo; «vedi la sua riflessione su twitter; domani sorpresa ai Ciompi, non mancare», ecc.
Per arrivare fin qui, il Nostro ha commesso quattro parricidi. La salma più ingombrante è Francesco Rutelli di cui fu pupillo. Renzi è entrato nella Margherita quando Cicciobello la creò e con lui è poi confluito nel Pd. Tra 2006 e 2008, con Rutelli ministro della Cultura di Prodi, Matteo fu il suo più zelante imbonitore. Nonostante fosse occupato come presidente della Provincia di Firenze, sottolineava con dichiarazioni tutto ciò che il ministro faceva. Alati commenti su infime cretinate pur di apparire fedelissimo ai suoi occhi: Rutelli palpa con grazia i Bronzi di Riace, sceglie con gusto le divise dei guardiani museali, esamina da esperto l'Arcimboldo ritrovato e cose così. Oggi che Cicciobello è eclissato lo lascia bollire nel suo brodo. La prima spalla su cui Renzi si appollaiò fu quella di Giuseppe Matulli, dc di sinistra, a lungo deputato. Da liceale, Matteo ne fu il galoppino. Gli voltò poi le terga e si legò a Lapo Pistelli, uno del Pd, col quale, dopo averne ricavato il ricavabile, entrò in concorrenza fino a batterlo alle primarie del 2009. La rottura più scenica è stata col quarto protettore, Antonello Giacomelli, deputato Pd e capo segreteria di Franceschini. Il giorno dell'epilogo, Giacomelli gli restituì una penna di valore che, per ingraziarselo, Matteo gli aveva regalata.
Classe 1975, Renzi è cresciuto alle porte di Firenze, Rignano sull'Arno, in una famiglia di insegnanti dc. Quando cadde il muro di Berlino, la mamma pianse di gioia. Il padre era consigliere comunale e litigava spesso col sindaco Pci. Se lo scontro diventava feroce, i Renzi - per protesta - non andavano a fare spesa alla Coop per una settimana. Il babbo mise su un'impresa distributrice di giornali di cui Matteo divenne manager organizzando anche lo strillonaggio della Nazione. Il ragazzo ebbe forte l'impronta cattolica. Entrò negli scout e vi restò vent'anni. Fu lupetto, esploratore, rover e capo redattore di Camminiamo insieme, la rivista del movimento. Si firmava Zac. Si laureò in Legge con una tesi premonitrice su Giorgio La Pira, il sindaco santo e sinistrorso della Firenze anni Cinquanta. Con gli scout ebbe una brutta avventura, si persero di notte e cantarono a squarciagola per tenere lontani i cinghiali, ma conobbe la moglie, Agnese, cui è molto legato e da cui ha avuto tre marmocchi.
Quando Matteo divenne famoso ci si ricordò che lo era già stato.

A 19 anni vinse infatti 33 milioni di lire alla Ruota della fortuna, quiz Mediaset di Mike Bongiorno. Apparve in tv per cinque puntate, già ilare e sfrontato com'è oggi, tanto che Mike gli disse che non ne poteva più di averlo come concorrente e se ne liberò. E noi ne seguiamo l'esempio.

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