Politica

Renzi si traveste da vittima e il Pd rischia la scissione

Il sindaco di Firenze non si presenta alla riunione plenaria dei dirigenti del partito: duro scontro con D'Alema. E Franceschini fa il pacificatore: "Un errore logorare Matteo"

Renzi si traveste da vittima e il Pd rischia la scissione

«Renzi gioca un po' a fare la vittima. Secondo me sbaglia»: così Massimo D'Alema, ieri pomeriggio, ha commentato l'assenza del sindaco di Firenze dalla riunione plenaria dei dirigenti del Pd, raccolti a convegno da Bersani per illustrare un documento che s'intitola, non per caso, «Fare il Pd». Già, perché a Renzi di «fare il Pd» importa poco e nulla: «Non debbo chiedere il premesso a Massimo D'Alema per candidarmi. Il Pd piuttosto si dia una mossa e la smetta di seguire le mie mosse. Si dessero loro una mossa», ha replicato intervistato dal Tg5. Per questo il sindaco ieri si è tenuto alla larga dal convegno dei «dirigenti romani» e per questo ogni suo intervento, presa di posizione, partecipazione o assenza serve a segnalare ogni volta un confine assai netto: da una parte c'è il partito, cioè la rocca polverosa dove burocrati e oligarchi perpetuano il proprio potere, e dall'altra c'è il Paese, che chiede una nuova politica e una nuova classe dirigente che la incarni.

Nella narrazione renziana non c'è dubbio su chi siano i cattivi, né su dove si collochi lo stesso Renzi: con gli elettori e contro il Pd, che a sua volta reagisce con il «tiro al piccione», cioè con una sequenza pressoché infinita di trovate, proposte e varianti regolamentari il cui unico scopo è impedire al sindaco la conquista democratica della segreteria.

Quanto ci sia di vero e quanto di forzato in questa rappresentazione, lo giudicherà ciascuno secondo le proprie convinzioni: ma è indubbio che a Renzi la parte della vittima riesce bene, e soprattutto gli è utile per marcare la propria irriducibile diversità dall'apparato. Che reagisce accusandolo, per bocca di Stefano Fassina, di «usare il vittimismo come marketing congressuale». Intervistato dal Manifesto, il viceministro dell'Economia è sprezzante: «Scriva sul suo blog le regole che vorrebbe e la data del congresso. Noi ubbidiamo. Poi però cominciamo a parlare di lavoro e di Europa».

In realtà, la questione delle regole non sta affatto nei termini in cui la raccontano Fassina, Epifani, D'Alema e il resto del gruppo dirigente vecchio e nuovo, che vuole «fare il Pd» senza scomodare troppo gli elettori e costruendo un percorso congressuale il più possibile interno all'apparato. Più ristretta è la platea che decide, minori sono le chances di Renzi: per questo il congresso del Pd è soltanto ed esclusivamente un problema di regole, regolamenti e statuti.

Ieri Franceschini, che si è ritagliato una posizione di «pontiere» fra il correntone Epifani-Bersani(-Letta) e i renziani, ha parlato esplicitamente di un «rischio scissione» nel Pd fra ex comunisti ed ex democristiani, alimentato dalle polemiche interne e da un «clima di lacerazioni» che il congresso promette di prolungare per altri lunghi mesi. Ma le sue parole, più che una preoccupata denuncia, sembrano un assist al segretario, che non esiterà a giocare la carta dell'unità interna per spezzare l'assedio renziano.

Il correntone che ha preso plasticamente forma ieri accusa dunque Renzi di «vittimismo», ma non fa nulla per allontanare il sospetto di essere impegnato pancia a terra proprio per sbarrare la strada al sindaco di Firenze, cui non viene perdonata - e siamo di nuovo al cuore del problema - una lontananza persino fisica dai rituali di partito giudicata ostile e pericolosa.

Se Renzi si facesse cooptare dal gruppo dirigente, garantendone così la continuità, come prima di lui hanno fatto tutti i segretari del Pci-Pds-Ds-Pd, non ci sarebbe nessun problema e il congresso si risolverebbe in due giorni. Renzi però è convinto del contrario: e cioè che soltanto una rottura esplicita nella cultura politica e nel gruppo dirigente del Pd può consentire a quel partito di conquistare i milioni di elettori oggi in libertà.

Presentarsi come vittima non significa soltanto proclamarsi innocente ma anche proporsi come alternativa e rimedio ad una situazione sbagliata, superata o fallimentare. Renzi ha scelto di posizionarsi esattamente in questo modo, come vittima di un gruppo dirigente sconfitto alle elezioni e incapace di farsi da parte.

E il Pd-Golia sembra intenzionato ad aiutarlo in ogni maniera possibile a recitare la parte di Davide: con sorprendente tempismo, il correntone antirenziano si è solennemente riunito giusto il giorno dopo l'allarmata (e propagandistica) denuncia del sindaco di Firenze contro il «tiro al piccione» nei suoi confronti, proprio come se volesse confermarla e ribadirla.

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