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La retata degli scafisti "I migranti buttali a mare"

La procura di Caltanissetta sgomina un traffico gestito da italiani e nordafricani: 18 arresti

La retata degli scafisti "I migranti buttali a mare"

Caltanissetta. «Venite in Sicilia». E come un'agenzia di viaggi specializzata per la tratta dalla Tunisia alla Sicilia reclutavano i passeggeri cui offrivano: partenza da Al Haouaria, Dar Allouche e Korba, con destinazione Caltanissetta, Trapani e Agrigento. Viaggio garantito in meno di 4 ore su natanti veloci e con pochi passeggeri: da 10 a 30 a viaggio. «Io dall'Italia arrivo a Tunisi in 1 ora e mezza dice un intercettato -. Il ritorno 2 ore e mezza, 3». L'organizzazione criminale dedita al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina sgominata dalla Squadra mobile di Caltanissetta, diretta dal vice questore Nino Ciavola, offriva punti d'appoggio in Sicilia in cui recarsi appena sbarcati.


La consorteria criminale non solo era ramificata sul territorio, con base operativa a Niscemi e punti strategici a Scicli, Catania e Mazara del Vallo, ma è emerso il carattere transnazionale, con contatti con organizzazioni gemelle e facoltà di assoldare scafisti in Paesi Ue, «non si dimentichino scrive il Gip - i ripetuti arrivi di scafisti dalla Francia, e dell'Africa». Sono 18 (11 tunisini e 7 italiani) i destinatari di misura cautelare, per 12 in carcere e per 6 ai domiciliari, ma in 6 sono irreperibili e proseguono le indagini all'estero.


È gente senza scrupoli, che si faceva pagare prima della partenza sì da non rimetterci in caso di problemi in viaggio: «Sbarazzatevi dei migranti in alto mare» era il monito della coppia tunisina a capo dell'organizzazione. Tanto il biglietto era già intascato. L'importo andava dai 3mila ai 5mila euro a persona, con un introito per l'organizzazione fino a 70mila euro a viaggio. E di viaggi ne sono stati fatti dal febbraio 2019 in cui è partita l'inchiesta «Mare aperto» coordinata dalla procura di Caltanissetta Dda, quando, precisamente il 21, all'imbocco del porto di Gela si incagliava una barca in vetroresina di 10 metri con 2 motori da 200 cavalli rubata a Catania e utilizzata per trasportare migranti. Nell'organizzazione ciascuno dei membri aveva un ruolo fondamentale, al di là della nazionalità, «fatto finora inedito» sottolinea Ciavola -. Anzi, i ruoli apicali erano coperti dal tunisino Akrem Toumi detto «il cammello», che, intercettato, si definiva «il più grande trafficante tra Tunisi e l'Italia» e dalla compagna, malgrado entrambi ai domiciliari a Niscemi già all'epoca dell'avvio dell'inchiesta e adesso la condanna è definitiva. Al loro fianco c'era un imprenditore agricolo niscemese, mentre 2 tunisini con base a Scicli gestivano le casse, introitando i soldi in contanti dei migranti, inviati in Italia attraverso agenzie internazionali specializzate nel trasferimento di denaro, e poi distribuiti nelle carte prepagate dei promotori dell'associazione per acquistare natanti veloci. Dell'ospitalità di scafisti e passeggeri post sbarco in una vecchia masseria a Niscemi si occupavano 5 italiani e, fatto insolito, tra i 4 scafisti esperti c'era un italiano. Infine, 4 tunisini avevano il ruolo di «connection man», ovvero riscuotevano i soldi del biglietto.


I viaggi venivano pianificati nella masseria, il cui proprietario, per giustificare la presenza degli stranieri, li assumeva fittiziamente nella sua azienda.

Un duro colpo inflitto ai trafficanti di vite umane, ma, per la serie «non finisce qui», il gip scrive che «il costante collegamento con sodalizi gemelli disposti a sopperire alle temporanee difficoltà e mancanze dell'associazione da sì che la sopravvivenza di quest'ultima non sia, in effetti, mai legata alla sorte dei singoli sodali, neppure quando questi si trovino in posizione apicale, poiché, con appoggi esterni, l'attività delittuosa può comunque essere fattivamente proseguita».

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