«La legge sul revenge porn è incostituzionale perché a differenza dei reati che comportano gravi lesioni alla dignità e alla sfera privata come stalking o violenza sessuale, non prevede il gratuito patrocinio di chi ne è vittima». Parte dal tribunale di Reggio Calabria l’articolata eccezione di incostituzionalità presentata dall’avvocato Gioacchino Genchi, ex poliziotto già stretto collaboratore di Giovanni Falcone, nel corso di un processo in cui il legale difende una donna che ha subito un’odiosa diffusione non consensuale di immagini e di video sessualmente espliciti.
Genchi ha scoperto che la normativa italiana sul gratuito patrocinio a spese dello Stato, che consente normalmente l’assistenza legale gratuita alle vittime di reati gravi come violenza sessuale, stalking o maltrattamenti, a prescindere dal reddito, escluderebbe le vittime di revenge porn da questa tutela, subordinandone l’accesso al reddito (come succede per altri reati) alla soglia reddituale. E questo violerebbe i principi di uguaglianza e tutela della dignità sanciti dalla Costituzione.
La vicenda giudiziaria di cui si occupa Genchi somiglia maledettamente a tante altre storie. Una relazione extraconiugale, video sessuali realizzati con il telefonino che anziché restare privati vengono messi in giro per screditare la donna, creando danni psicologici e materiali alla vittima e al suo nucleo familiare, inclusi i figli minori.
La legge sul revenge porn nasce nel 2019 durante il governo di Giuseppe Conte, sull’onda emotiva suscitata soprattutto dalla vicenda della povera Tiziana Cantone, la bellissima 31enne napoletana che si sarebbe tolta la vita il 13 settembre 2016 dopo la diffusione non consensuale dei suoi video intimi e anni di bullismo online.
Come è possibile che il Parlamento e l’ufficio legislativo dell’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede si siano dimenticati di includere il revenge porn tra i reati per i quali è previsto il gratuito patrocinio per le vittime? È quello che si domanda Genchi, che nei giorni scorsi ha trasmesso l’eccezione al presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni (omissando i nomi della persona offesa e degli imputati), sollecitando Palazzo Chigi a correre prontamente ai ripari.