Il ricatto dei mercati al Belpaeseil commento 2

di Marcello Zacché

Non c'è solo Berlusconi dietro alla brutta giornata di ieri sui mercati finanziari: lo spread ha chiuso a 356 punti, 20 più di venerdì; la Borsa di Milano ha ceduto l'1,5%, il doppio di quanto hanno ceduto le altre grandi europee. Certo, le parole pronunciate sabato dall'azionista di maggioranza dell'attuale governo italiano, così ostili verso l'operato di Monti e verso la Merkel, hanno avuto il loro peso. Ma sono almeno altri due gli elementi, interni che, non da ieri, ma da almeno due settimane, sono tornati a far salire lo spread e a far calare la Borsa. E uno è quello di matrice esterna.
Il primo è lo scontro Bersani-Renzi, con la deriva radicale dell'attuale segretario Pd: un futuro governo Bersani-Vendola è peggio di qualunque minaccia berlusconiana a Monti. Il secondo è il risultato delle elezioni siciliane, che proietta al livello nazionale il rischio ingovernabilità nelle prossime elezioni politiche. Questo si raccontava ieri nelle sale operative milanesi. E non a caso questa «solare» verità era confermata da insospettabili messaggi interni al mondo della finanza, come quello del presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, che ha ieri detto ai suoi soci di voler anticipare il rinnovo dei vertici della prima banca italiana a marzo, cioè prima delle elezioni, per evitare i traumi che potrebbero riguardare l'istituto in seguito a ondate speculative. L'elemento esterno è la paura della bancarotta della Grecia, che è tornata a minacciare l'euro in questi giorni. Il listino di Atene ha ieri ceduto più del 6%, altro che Piazza Affari e Berlusconi.
Le banche elleniche non riescono a presentare i conti semestrali. E lo Stato, tra due settimane, non avrà più fondi per pagare gli stipendi pubblici. Dopodiché, da più parti, la realtà di un'Italia in piena crisi politica è facilmente manipolabile utilizzando gli strumenti di volta in volta a disposizione.
Così la conferenza stampa di Berlusconi di sabato scorso, con diretta tivù su quattro canali, è diventata lo spunto ideale su cui fare leva per ventilare chissà quale disastro, in una sorta di strisciante ricatto del «mercato» alla politica. E così in un report di Nomura, l'istituto giapponese che ha rilevato in Europa le attività di banca d'affari di Lehman Brothers, ieri si leggeva che se Berlusconi e il Pdl non faranno chiarezza sul supporto a Monti, questo potrebbe far lievitare lo spread. E senza l'appoggio del Parlamento a questo premier, salterebbero la Legge di stabilità e, di conseguenza, anche il piano di interventi della Bce. Monti, per parte sua, non ha infierito. Ma nemmeno si è lasciato scappare l'occasione per un paio di battute fulminanti che la dicono lunga sul tema: lo spread sale per colpa di Berlusconi? «Non ci avevo pensato - ha risposto il premier - ora ci rifletterò». E ancora: cosa succede se Berlusconi e il Pdl decideranno di togliere la fiducia ai mercati? «È una domanda da rivolgere alle forze politiche e ai mercati». Come a dire: provino a farlo e poi vedrete che fine facciamo.

Ma la stessa domanda potrebbe essere cosa succede se governano Bersani-Vendola? O dove può arrivare lo spread se Grillo si porta a casa il 20 o più per cento del Parlamento?
Pensateci bene, ma non è proprio questo il caso in cui la democrazia rischia di finire ostaggio del mercato? E poco importa se essa si chiami Berlusconi, Vendola o Grillo.

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