Roma - «Un tecnico che sa parlare con ironia quando capita, pur se, come dirigente della Banca d'Italia, di rado se lo è potuto permettere». Ecco, al di là della manifesta simpatia con cui la Stampa accolse nell'aprile scorso la nomina a ministro dell'Economia di Fabrizio Saccomanni, c'è sicuramente un fatto non trascurabile che i sette mesi dal suo insediamento a via XX Settembre hanno rivelato: più che ironico, più che mite, più che «tecnico» il titolare del dicastero si può definire pugnace. E non solo nelle azioni ma anche nelle parole.
Ieri se n'è avuto un esempio lampante. Da settimane il superministro ripete (pure alla Bbc) che «l'Italia sta uscendo dalla recessione», che il 2014 sarà un anno di svolta. L'Istat, aggiornando le stime sulla crescita, di fatto l'ha sbugiardato: quel +0,7% previsto per l'anno prossimo è ben lontano dal +1,1% propagandato da via XX Settembre. Saccomanni non l'ha presa bene: «Abbiamo opinioni leggermente diverse: l'Istat non considera le riforme e i pagamenti della pubblica amministrazione», ha dichiarato. Che tradotto dal «tecno-politichese» all'italiano significa: «L'Istat non ha capito nulla e avrebbe potuto tacere piuttosto che destabilizzarci».
Fintantoché il confronto politico con la maggioranza s'era instradato sui massimi sistemi, Saccomanni era più un tranquillo spettatore che un protagonista. Poi la querelle sull'abolizione dell'Imu e il pressing dei partiti sulla legge di Stabilità hanno alzato il livello dello scontro cui il ministro non s'è sottratto, minacciando le dimissioni via Corriere il 22 settembre. «Gli impegni vanno rispettati, altrimenti non ci sto», dichiarava con enfasi europeista a chi gli tirava la giacca sull'Imu (il capogruppo Pdl Renato Brunetta) e sull'Iva (il viceministro Pd Stefano Fassina).
L'escalation del conflitto si è avuta nei giorni post-presentazione della manovra. Il «mite» Saccomanni aveva reintrodotto il prelievo Irpef sulle seconde case sfitte, Palazzo Chigi - temendo la crisi - aveva fatto marcia indietro mettendone in discussione l'operato e provocando la sua irritazione. E sempre il premier Letta, affidando allo «scontento» Fassina (anch'egli «dimissionario rientrato») il monitoraggio parlamentare della manovra, aveva di fatto «commissariato» il suo ministro. E così da circa un mese ogni giorno sono scintille. Renato Brunetta, che si è impegnato per la riscrittura della legge di Stabilità, è stato liquidato sbrigativamente. «Sono critiche marginali», ha detto Saccomanni trascurando che il Pdl è socio di maggioranza della coalizione. E che dire del vice Stefano Fassina? Dopo settimane di polemiche, il piddino si agganciò al treno Pdl contro le limitazioni all'uso del contante definendole «parole di buonsenso».
Insomma, Saccomanni - quando non è «costretto» da Palazzo Chigi a rivedere gli obiettivi - è puntualmente smentito dalle circostanze. Pensiamo al mantra della «Finanziaria che non aumenta le tasse» recitato assieme a Enrico Letta. La «piccola» Cgia di Mestre gli ha ricordato che l'anno prossimo il prelievo fiscale salirà di 1,1 miliardi.
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