La rivoluzione delle macchine che stampano il mondo in «3D»

La rivoluzione delle macchine che stampano il mondo in «3D»

C'è un mondo che già gongola in Rete: con le stampanti in 3D il capitalismo ha gli affari contati. C'è pure lo slogan: la «terza rivoluzione industriale», ovvero produrre in casa oggetti di ogni tipo. Tutto grazie a una generazione di macchine che assomigliano simili a comuni stampanti ma che, anziché di inchiostro, si «nutrono» di materie plastiche, fuse e ricomposte nelle forme desiderate. Una «testina» simile a quella delle stampanti passa e ripassa secondo movimenti comandatati dal computer e, depositando il materiale strato dopo strato, dà forma all'oggetto. L'oggetto è stato prima disegnato al computer ma ora il creativo, invece di stampare su carta il progetto e consegnarlo a un artigiano che costruirà il prototipo seguendo le specifiche, schiaccia il tasto di stampa e invia le istruzioni alla stampante 3D. Non è un miraggio futuribile o una leggenda da Silicon Valley. Anche in Brianza artigiani all'avanguardia costruiscono mobili di legno e poi applicano posaceneri o altri dettagli stampati in 3D. Ma le prospettive sono ben più ampie. Già due anni fa l'Economist annunciò la rivoluzione in arrivo mettendo in copertina un violino dall'aria plasticosa e il titolo «stampami uno Stradivari». L'ultimo sviluppo è di ieri: il gruppo di attivisti americani pro armi «Defense Distributed» ha annunciato la prima «pistola» stampata in grado di sparare come una uscita dalla fabbrica. Un atto dimostrativo contro i limiti alla vendita di armi voluti da Obama: il file col progetto della pistola verrà distribuito gratis on linechiunque potrà stamparsela in casa con una 3D.
Ed è così che in un attimo la novità tecnologica assume sorprendenti risvolti politici. Così c'è da un lato l'Economist, solidamente capitalista, che prevede possibili mutazioni genetiche del sistema industriale, grazie alla proprietà di base di questo nuovo sistema: l'assoluta separazione tra ideazione e manodopera, il coronamento ultimo della globalizzazione, l'idea che ogni oggetto complesso della nostra vita potrà essere progettato in un luogo e tramutato in realtà in un altro, magari lontanissimo, in modo molto più semplice ed economico di ora. Si rischia far evaporare milioni di posti di lavoro, ma le rivoluzioni hanno il loro fascino. E così perfino il presidente Obama ha celebrato la stampa 3D nell'ultimo discorso sullo stato dell'Unione: «In un laboratorio all'avanguardia in Ohio un gruppo di nuovi lavoratori sta padroneggiando la tecnica di stampa in 3D che potenzialmente può rivoluzionare il modo in cui facciamo praticamente tutto». Poche parole di Obama sono bastate a rilanciare l'interesse intorno a una tecnica che in realtà esiste da almeno dieci anni e per ora ha rivoluzionato al massimo le abitudini di dentisti e orafi, che realizzano in proprio prototipi di protesi e gioielli. Tutta qui la rivoluzione? Forse no. Il prezzo delle macchine è sceso a 15.000 euro e ne esistono versioni da casa che costano meno di mille euro. Per il momento però la stampa di ciascun oggetto richiede ore e i costi, pur inferiori a quelli di un artigiano, non possono competere con quelli di lavorazione industriale. Ma per i nuovi anti capitalisti che popolano la Rete, per intenderci quelli più vicini a certe posizioni alla Grillo, secondo cui le innovazioni tecnologiche stanno per spazzare via i rapporti di potere per come li conosciamo, la rivoluzione 3 D è ineludibile. La loro domanda di fondo è: perché dovremmo andare a comprare un oggetto quando possiamo stamparlo in casa? Un'utopia che dimentica ragioni fondamentali dell'economia e dell'agire umano in generale. Perché la stampa 3D richiede comunque tempo, voglia e creatività che non sono merci così comuni. Il capitalismo vince proprio perché sa valorizzare, o sfruttare, questi beni così preziosi. Nei processi industriali le nuove macchine potranno ritagliarsi spazi importanti.

Ma nella vita quotidiana pare proprio di no, almeno per ora. Al quesito posto dall'utopia 3D, si può rispondere con un'altra domanda, decisamente più ragionevole: ma perché dovremmo costruirci un oggetto da soli quando possiamo comprarlo al negozio?

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