Roma Nel novembre 2011 Roberto Saviano, nel corso di una puntata di Vieni via con me su Raitre, spiegò nel dettaglio all'Italia come funzionasse la cosiddetta «macchina del fango» e come questa tecnica diffamatoria utilizzata da alcuni giornali rappresentasse un vulnus per la democrazia. Ora però il maestrino campano è accusato di essersi messo almeno una volta anche lui al volante di quella macchina. Nel 2010, in collaborazione con un giornalista del quotidiano di largo Fochetti, l'autore di Gomorra scrisse due articoli sull'inchiesta relativa al presunto dossier preparato dall'ex sottosegretario del Pdl, Nicola Cosentino, per screditare Stefano Caldoro e ottenere al suo posto la candidatura a presidente della Regione Campania. Per quegli articoli, malgrado il pm, Erminio Amelio, avesse chiesto l'archiviazione, il gip di Roma, Stefano Aprile, ha ieri disposto l'imputazione coatta nei confronti di Saviano, del giornalista Francesco Viviano e del direttore del quotidiano, Ezio Mauro. L'accusa è di diffamazione nei confronti di Umberto Marconi, ex presidente della Corte d'Appello di Salerno e oggi consigliere della Corte d'Appello di Napoli, che negli articoli di Repubblica risultava coinvolto nella fabbricazione dei dossier contro l'allora governatore.
Il gip ha ravvisato gli estremi del reato di diffamazione in due articoli pubblicati il 16 e il 17 luglio 2010 e basati su conversazioni intercettate tra Marconi e persone coinvolte nell'inchiesta. Il primo articolo, in particolare, traeva da quelle intercettazioni una conclusione riassunta nel sommario al titolo di prima pagina: «Nell'ufficio di un magistrato fabbricato il dossier anti-Caldoro». Una circostanza poi smentita dalle risultanze processuali successive. Il gip Aprile sottolinea innanzitutto che nell'inchiesta sul dossier «il dottor Marconi all'epoca della pubblicazione non era indagato e conserverà tale qualità fino alla fine, non venendo neppure sottoposto a procedimento disciplinare o para-disciplinare dal Csm». In realtà Marconi sarà successivamente trasferito da Salerno a Napoli ma dietro richiesta dello stesso magistrato «per tutelare l'ufficio giudiziario da lui diretto» proprio in seguito agli articoli «il cui contenuto aveva destato una violenta campagna di stampa nei suoi confronti infarcita di illazioni e ingiustificate aggressioni». Non solo. Secondo la ricostruzione fatta dal gip capitolino, gli articoli si basavano su «atti coperti da segreto istruttorio poiché relativi a procedimento ancora nella fase delle indagini preliminari», in particolare alcune intercettazioni telefoniche segnalate dai carabinieri alla Procura di Roma perché ne fosse valutata la portata».
Per il gip, «gli articoli in questione» e in particolare quello «cui è stato apposto un titolo clamoroso e dal punto di vista mediatico devastante», hanno unicamente «valorizzato un passaggio delle considerazioni investigative, peraltro esposte a livello di semplice ipotesi dagli stessi carabinieri di Roma, riportando stralci d'intercettazione telefonica che riguardano il dottor Umberto Marconi dal contenuto francamente insignificante se rapportato all'affermata opera di regista dell'operazione di dossieraggio ai danni di Stefano Caldoro».
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