L'unico testimone della maledizione ha la barba lunga, lo sguardo scolpito nel granito sovietico e i piccioni sulla testa. Guarda fisso la facciata del Bolshoi dal piedistallo di piazza Teatralnaja sul quale l'illusione socialista l'ha collocato. La statua di Karl Marx ha visto tutto, ma non può deporre in tribunale, né raccontare la storia del teatro moscovita nato per risuonare come una «pancia di violino» e finito per raccogliere in sé il peggio dell'uomo, neoclassico vaso di Pandora che nasconde ambizioni, odio e malasorte.
L'ultima stilla di angoscia è traboccata dal vaso mercoledì, quando il secondo violino Viktor Sedov è morto durante le prove. Un incidente, una caduta, un musicista che scivola nella buca dell'orchestra come in una tragicommedia mediocre. Con il destino, in un Paese dolorosamente ancorato al populismo dei padri, non si scherza. Eppure il sortilegio non è opera esclusiva del fato. Il falò di delitti e disgrazie che divampa dietro le quinte del più prestigioso teatro di balletto del mondo è attizzato da umanissime pulsioni.
Progettato nel 1825 dal figlio di un italiano e ricostruito trent'anni dopo in seguito a un incendio, il Bolshoi ha covato sotto le sue ceneri tutti i tormenti del Novecento russo: gli oppositori dei bolscevichi furono arrestati tra le poltroncine e i palchi durante un congresso, l'Urss fu proclamata davanti al palco dello zar e le epurazioni non lo risparmiarono. La cappa di paranoia schiacciava tutto, compresi i fuoriclasse della musica e della danza, da Sostakovic a Rostropovic fino all'étoile Majja Pliseckaja, ebrea e figlia di un nemico del popolo fucilato da Stalin, boicottata nonostante il talento purissimo. Lo sguardo severo di Marx, dalla piazza, assisteva alle purghe senza un plié.
Il sipario calato sul comunismo liberò il Bolshoi dal Pcus, ma scoperchiò l'egoismo di un Paese riscopertosi giungla. Gli anni Novanta delle oligarchie trascinarono il teatro in disgrazia; un restauro di sei anni lo riportò nell'olimpo a prezzo di titaniche corruzioni. Ma è da questo momento, dalla «rinascita», che Marx ha cominciato ad accigliarsi sempre più, assistendo alla quadriglia di faide in atto sotto il colonnato del Bolshoi. La prima ballerina ribelle Anastasia Volochkova licenziata perché troppo grassa, i ricatti al direttore Yanin, dimessosi dopo la diffusione di suoi scatti privati omosessuali, la fuga del coreografo Ratmansky che sulla sua pagina Facebook denunciò la «totale assenza di moralità» del teatro, la guerra intestina fomentata dall'ex danzatore Tsiskaridze, che ebbe la carriera stroncata da un infortunio. Marx, va da sé, continuava a osservare tutto in silenzio, ma ora piuttosto infastidito.
Fastidio che diventò orrore nel gennaio di quest'anno, quando venne sfigurato il direttore artistico Sergej Filin, accecato con l'acido sotto casa sua da due sicari inviati da Pavel Dmitrichenko, danzatore e fidanzato di una ballerina epurata da Filin. Assetato di vendetta, plagiato dalla bella Anzhelina, Pavel porta sulla pelle il tatuaggio «La vita è una lotta» e ha lottato sporco. Marx ancora non distoglieva lo sguardo, ma cominciava ad averne abbastanza.
Il resto è storia recente, gli ultimi rivoli di fango che sgorgano dal vaso. Le étoiles licenziate che accusano la direzione di far prostituire le ballerine ai magnati moscoviti in cambio di una parte nello Schiaccianoci, il controverso Tsiskaridze lasciato a casa, il padre padrone Iksanov, direttore storico, fatto fuori per intervento diretto del ministero, estremo tentativo di rimediare a una «palude di corruzione e nepotismo». Marx, finalmente, sembrava annuire soddisfatto. Ma, dopo tante bassezze umane, nessuno pensava più al Caso.
Quello che ha fatto cadere il povero violinista Sedov in una buca, per ricordare alla statua di Marx che lo spettacolo del malaugurio non è ancora terminato. E per ricordare al mondo che il fantasma dell'Opera non è nulla se paragonato ai demoni del Bolshoi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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