Se il Cav è cotto perché tutti lo temono?

I nemici di Berlusconi, terrorizzati dall’idea che si ricandidi, lo danno per vinto. Ma il giudizio spetta agli elettori

Se il Cav è cotto perché tutti lo temono?

La notizia che Silvio Ber­lusconi ha (o avrebbe) deciso di fare macchi­na indietro e tornare in politica in qualità di candidato premier del centrodestra, co­m’era scontato, ha suscitato nello schieramento avversario reazio­ni più o meno scomposte e com­menti improntati a indignazione, per non dire di peggio. Secondo qualcuno, i grandi leader europei sarebbero preoccupati: temono che col Cavaliere ancora sulla sce­na la situazione politica italiana possa complicarsi al punto da pre­giudicare la stabilità continenta­le. Tutto ciò ci sembra strano, ma ne prendiamo atto. Qualcosa co­munque non quadra. Ascoltando e leggendo le dichiarazioni di per­sonaggi della sinistra nostrana si rimane basiti: il fondatore del Pdl ormai è cotto, ha perso grinta e fan­tasia, le sue idee, ammesso ne ab­bia, sono tramontate, non convin­cono più nessuno. In breve: l’uo­mo non avrebbe alcuna probabili­tà di risalire ai vertici. Poniamo che questi giudizi non siano campati in aria e destinati a trovare conferma nelle urne il prossimo anno, quando si andrà a votare. Nel caso, i detrattori del­l’ex premier dovrebbero festeggia­re la sua ridiscesa in campo, felici di dover competere con uno scon­fitto in pectore . Molto meglio combattere contro un Pdl guidato da un signore stanco che non contro un Pdl condotto da un comandante fresco, lungi­mirante, pieno di energie e di immaginazio­ne. Anziché stracciarsi le vesti e addirittura deridere il Cavaliere redivivo, i progressisti dovrebbero essere felici di averlo davanti barcollante e di potersene sbarazzare sen­za fatica.

Chissà perché, viceversa, ostentano di­sgusto come usavano certi pugili che, sali­ti sul ring, si insultavano a sangue, ancor prima del gong, nel puerile tentativo di vincere il match a parole invece che a pu­gni. Sottovalutare e disprezzare l’antago­nista in realtà è segno di debolezza, rivela un terrore inconscio di esserne travolti. Quando Pier Luigi Bersani afferma che il rientro di Berlusconi è una sciagura, non si rende conto di dire una bestialità: non tocca a lui emettere sentenze, bensì agli elettori.
In democrazia, piaccia o no, sono i voti a decretare chi vince. E se il segretario del Pd si misurasse con un rivale debole non sarebbe per lui una disgrazia, ma una for­tuna. Il problema è che la fortuna bisogna guadagnarsela evitando anzitutto di ren­dersi ridicoli,mentre Bersani in questa fa­se, corteggiando Pierferdinando Casini e osteggiando Matteo Renzi, traccheggian­do sulle alleanze con Nichi Vendola e An­tonio Di Pietro, mostra di assomigliare di più alla caricatura che ne fa il comico Mau­rizio Crozza che a un leader di partito.
A proposito, un paio di giorni fa, Miche­le Serra ha scritto sulla Repubblica un cor­siv­o in cui osservava che il copione del Ca­valiere, vecchio di vent’anni, è scaduto e improponibile. Può essere che il brillante giornalista abbia ragione.Ma gli consiglie­rei di dare un’occhiata a quello di Bersani, se è in grado di recuperarne una copia, ciò che a noi non è riuscito facendoci nascere il sospetto che non esista neppure l’origi­nale.
Abbiamo l’impressione che la sinistra, data la minaccia dei grillini, sia costretta alla fine - se non muta la legge elettorale ­ad adottare la formula Romano Prodi, falli­ta due volte: tutti i progressisti nella mede­sima coalizione.

È questo il copione gradi­to a Serra? Sarebbe questa la novità politi­ca che fa risaltare l’inadeguatezza di Berlu­sconi? Se è così, molti italiani penseranno che peggio del centrodestra c’è solo il cen­trosinistra. E sceglieranno il male minore.

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