Se continua così ci cucchiamo di nuovo i tecnici

La neutralizzazione in breve tempo di quattro leader non può essere un incidente della storia

Se continua così ci cucchiamo di nuovo i tecnici

Si discute, e si litiga, da circa un anno sulla riforma della legge elettorale, intanto ci è sfuggito qualcosa meritevole di segnalazione. Umberto Bossi è politicamente morto, e la Lega si riprende a fatica dalla botta subita; Gianfranco Fini è uscito dal cono di luce; Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro sono stati azzoppati e non si sa che ne sarà di loro. Tutto ciò è accaduto per caso o è frutto di un piano orchestrato da una mente ignota?

Pur non essendo dietrologi vocazionali, abbiamo il sospetto che la neutralizzazione in breve tempo di quattro soggetti politici (potenziali oppositori) non possa essere un incidente della storia. Troppi indizi non faranno una prova, ma quasi. Sta di fatto che se al quadro partitico italiano togli il Pdl (che al momento ha la maggioranza relativa), la Lega, l'Italia dei valori e il Fli, rimane ben poco: il Pd, dilaniato dalla lotta interna fra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi; il Sel di Nichi Vendola, strutturalmente deboluccio; l'Udc di Pier Ferdinando Casini, da lustri condannato ad avere una quantità di consensi inversamente proporzionale al numero di apparizioni televisive del proprio leader e fondatore. C'è poi il Movimento 5 Stelle, dato in costante crescita, ma insofferente a qualsiasi alleanza, almeno stando alle dichiarazioni di Beppe Grillo.

La lunga premessa per porre una domanda retorica: nel 2013 quale risultato uscirà dalle urne? Se da qui alla prossima primavera i quattro partiti barcollanti non si rialzeranno, avremo il Pd vincitore, sì, ma con un patrimonio di voti talmente esiguo da non consentirgli di presentare in Parlamento una maggioranza in grado di sostenere un governo duraturo e attrezzato per affrontare un'esigenza che rischia di essere perpetua.

Quindi? Nell'eventualità, Bersani dice che si tratterebbe di tornare a votare. Pia illusione. Figuriamoci se il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, assumerebbe una simile decisione senza prima aver tentato una soluzione diversa col pretesto di non voler offrire agli speculatori internazionali il destro per aggredirci e ulteriormente impoverirci. Cioè? La solita e sperimentata grande ammucchiata, la fotocopia, magari con qualche ritocco, dell'attuale maggioranza che puntella l'esecutivo tecnico. Va da sé che presidente del Consiglio sarebbe confermato Mario Monti, il quale anche ieri ha detto di essere pronto a sacrificarsi di nuovo per salvare la Patria e, aggiungiamo noi, le banche e i finanzieri di cui egli è un autorevole tutore.

E Grillo come si comporterebbe? Assisterebbe impassibile al replay montiano? Dipenderà da quanti deputati e senatori sarà riuscito a fare eleggere. Per adesso è difficile azzardare previsioni: benché i sondaggi valutino i grillini già vicini al 20 per cento, sembra improbabile che possano eguagliare o addirittura superare il Pd. Comunque Montecitorio e Palazzo Madama si trasformeranno in una bolgia: una ragione in più per spingere Napolitano a persuadere i partiti tradizionali - nessuno dei quali in buona salute - ad accettare loro malgrado la coabitazione nella stessa, pur innaturale, maggioranza.


Inutile sottolineare che un'ipotesi del genere piace assai anche all'Europa di Angela Merkel, di cui il presidente della Repubblica e Monti sono fedeli esecutori in nome dei superiori interessi dell'Unione, soprattutto monetaria. L'euro si è squalificato almeno quanto la nostra politichetta antiquata, ma conta molto di più. Prepariamoci a inchinarci al dio soldo, che è potente, anzi, prepotente.

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