Se i veri indignati tartassati non scendono mai in piazza

B isognava fare un giro nelle scuole martedì, alla vigilia degli scontri violenti di ieri. Chiedere agli studenti che cosa sapevano davvero sullo stato dell'istruzione in Italia. Domandare loro per quale motivo è meglio protestare nelle piazze piuttosto che cominciare - sui banchi - a costruirsi un futuro, perché nessun destino è già ineluttabilmente scritto. Informarsi se pensano veramente di aiutare il Paese a uscire dalla palude bloccando città, paralizzando treni, sfasciando vetrine e caricando i poliziotti, poveri cristi che patiscono i morsi della crisi come tutti.
Gli studenti per le strade cittadine. Gli operai della Fiom e della Cgil nelle solite piazze. I no-Tav in val di Susa. C'è un drammatico fronte di protesta che si estende per tenere il passo delle contestazioni che dilagano in Europa. Tutta l'Italia è indignata per l'affanno in cui vive, le tasse che aumentano, i sacrifici che non vengono premiati dal miglioramento dei conti statali, la politica che non si decide a cambiare.
Eppure i veri indignati ieri non erano nelle piazze a sfilare al riparo di urla e slogan vergognosi, come quelli lanciati contro la sinagoga di Roma da bande di estremisti mascherati con la kefiah che hanno inneggiato a Saddam come simbolo antisemita. Non si sono mescolati con i professionisti della contestazione, i figli di papà che giocano alla rivoluzione, gli autonomi che offendono l'Italia brandendo le sofferenze della gente normale come pretesto per creare disordine con mazze, bastoni, bombe carta, petardi. Un armamentario di guerriglieri, non di chi vuole contribuire al bene del Paese.
I veri «indignados» non si sono visti. Non c'erano le migliaia di esodati, una categoria sociale inventata dal governo Monti, un numero ancora imprecisato di sessantenni senza più lavoro né pensione. Nessuna traccia dei pensionati cui la riforma Fornero ha ridotto il vitalizio, e nemmeno delle Onlus con le quali sotto Natale si sentono più generosi tutti tranne il governo, che da gennaio le costringerà a pagare l'Imu.
Non sono scesi in piazza quanti possiedono una casa sulla quale hanno dovuto pagare 20 miliardi di euro, il doppio della vecchia Ici, con aliquote (per le seconde case) che in certe località hanno registrato aumenti del 2.000 per cento.
Né gli automobilisti, con la benzina gravata da accise sempre più numerose. Oppure chi ha sborsato 2,2 miliardi di euro come addizionali Irpef. E neppure quanti hanno un conto corrente in banca e si preparano a saldare l'ennesima imposta di bollo.
Non si sono visti i terremotati di Emilia, Lombardia e Veneto - ai quali l'Europa voleva sottrarre 600 milioni di contributi - troppo impegnati a ricostruire case e lavoro per sé e i propri figli. Non c'era ombra dei disabili, degli invalidi o dei loro familiari cui sono stati drasticamente ridotti fondi indispensabili, o di chi campa con un assegno minimo che potrebbe essere falcidiato dal rincaro dell'Iva.
Gli italiani tartassati non hanno tempo per trastullarsi con la rivoluzione a colpi di spranga e le contestazioni a colpi di auto e cassonetti rovesciati. Chi ha un'impresa o un'attività commerciale non può permettersi di chiudere per mezza giornata e sfilare con i nipoti viziati dei sessantottini. Artigiani e commercianti devono fare fronte all'aumento dell'1,3 per cento dei contributi Inps e alla difficoltà di mantenere il volume d'affari. Chi ha un lavoro se lo tiene stretto, stringe i denti, non fa lo schizzinoso, per usare un aggettivo che il ministro Fornero ha rivitalizzato.
È vero, l'Italia è sempre più indignata. Tuttavia chi combatte per arrivare alla fine del mese è più realista degli universitari che vivono con la paghetta dei genitori. Chi conosce il valore e la fatica del lavoro non si sogna di mescolarsi ai teppisti che gettano benzina sul fuoco di un'Italia che sta già bruciando.


I veri indignati, i tartassati, non hanno incendi da appiccare, anche se avrebbero parecchia rabbia in corpo da sfogare. Lo sdegno può essere una risorsa, una molla che spinge a ricostruire, a ricominciare. Parole sconosciute a chi si sente forte soltanto se manda un poliziotto all'ospedale.

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