Sentenza a mezzo stampa del giudice anti Berlusconi

Altro che riserbo, Magi in campo per difendere i motivi della condanna Unipol

Sentenza a mezzo stampa del giudice anti Berlusconi

Milano - Se le novantasette pagine depositate in cancelleria non erano sufficienti a spiegare i motivi della condanna di Silvio Berlusconi per l'affare Unipol, il giudice Oscar Magi - presidente del tribunale che ha processato il Cavaliere - colma ieri la lacuna in modo inconsueto: cinquanta righe sul Corriere della sera, in cui spiega ai lettori perché sia stato giusto rifilare a Berlusconi un anno di carcere per la fuga di notizie sulla famosa conversazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte di Unipol, incautamente conclusa dall'allora segretario dei Ds con il trionfale «Abbiamo una banca!».
Non è frequente che un giudice illustri a mezzo stampa le ragioni di una sua sentenza, fresca di computer e ancora soggetta al giudizio d'appello. Il problema è che, sabato scorso, sulle pagine del Corriere era accaduto un fatto imprevisto: un attacco frontale ai giudici del caso Unipol firmato da Piero Ostellino, ex direttore del quotidiano e oggi suo autorevole commentatore. Dopo avere letto gli articoli di vari giornali sulle motivazioni del caso Unipol, ed essendone rimasto piuttosto stupito, Ostellino si era procurato il testo integrale della sentenza, se l'era letto, e ne era uscito ancora più stupito. Così aveva steso un ampio articolo in cui scriveva pari pari: «Con la surreale sentenza, che piaccia o no, è nato un nuovo tipo di accusa, tutto ideologico». E, «con un pizzico di ironia», Ostellino si chiedeva cosa sarebbe successo a lui, ai tempi in cui, corrispondente da Mosca, rivelava ai fedeli del comunismo le magagne dell'Unione Sovietica, se fosse stato giudicato col metro di giudizio del tribunale milanese.
Questa, infatti, era per Ostellino la parte più surreale della sentenza. Quella in cui gli stessi giudici definivano la frase di Fassino «Abbiamo una banca!» «significativa della capacita della sinistra di fare affari e mettersi a tavolino coi poteri forti, in aperto contrasto con la tradizione storica, se non di quel partito, quanto meno dell orientamento del suo elettorato». Secondo Ostellino, la sentenza «lascerebbe intendere che la sinistra sarebbe fatta di mascalzoni sempre pronti a ingannare il prossimo» e i suoi elettori sarebbero «sprovveduti disposti a credere a qualsiasi balla». Il Giornale ebbe la colpa di alzare il velo sugli affari dei vertici dei Ds. E il fatto che per questo i fratelli Berlusconi vengano condannati spinge Ostellino (e il Corriere, che seppur con qualche resistenza ne ha pubblicato il commento) a parlare di «sentenza surreale» e a evocare scenari sovietici.
La vicenda sembrava destinata a chiudersi così: una sentenza, un articolo che la critica. Ma Magi decide di reagire. Scrive una lettera al direttore del quotidiano, in cui controaccusa Ostellino: avanza il dubbio che non abbia letto la sentenza o ne abbia letto solo i pezzi utili alla sua tesi, lo accusa di avere comunque fatto «un uso per la verità molto spregiudicato di alcuni pezzetti della motivazione per costruire, lui sì, un'accusa ideologica e surreale». Magi non nega (sarebbe impossibile) che nella sentenza ci sia quella frase sui comunisti creduloni, ma nemmeno ne spiega il senso.

Spiega invece il perché della condanna: «Il contenuto della conversazione è del tutto irrilevante, mentre non lo è il movente che ha indotto Silvio Berlusconi a concorrere nella sua diffusione, vale a dire l'offuscamento di immagine che ne sarebbe derivato al Pd e all'allora suo segretario a sfruttare nella tornata elettorale». La conversazione, conclude Magi, era segreta: «E divulgare notizie che avrebbero dovuto restare segrete è reato».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica