Ma questo è lo stesso terrorismo con cui mi sono confrontato 30 o 40 anni or sono? Allora ebbi la possibilità, per motivi di studio, di vivere in mezzo a loro, di cercare di capirne le origini e le motivazioni, di darne conto in una lunga serie di articoli apparsi sul Corriere della sera. Ma oggi, che pensare di analogie e differenze?
Anzitutto una constatazione, e quindi una prima differenza: l'ambiente sociale di origine era abbastanza diverso. In Italia era in corso una rivoluzione culturale ed economica, infatti si stava passando da una società agricola a una industriale. Quindi la massa di quei giovani, che sarebbero poi stati definiti extra parlamentari, era in gran parte di origine contadina, quindi si trattava di figli di contadini e in minor misura di operai. Soltanto in piccola parte erano figli di intellettuali. Inoltre, la società di allora era formata da una serie di aree economiche e sociali che corrispondevano a obbiettivi politici e rivoluzionari oggettivamente diversi e frammentati. Una cosa erano i cantieri navali di Monfalcone e Trieste, un'altra cosa le fabbriche del Piemonte e della Lombardia. Questa frammentazione sociale veniva in parte superata dal fatto che la rivolta era marxista e leninista, e quindi ideologicamente uniforme. Inoltre, il livello culturale medio era più basso di quello attuale e quindi in condizione di assimilare più facilmente i messaggi della rivolta. In fine, era presente una cultura rivoluzionaria le cui basi erano in parte religiose, di cui mi occupai nel mio libro Il seme religioso della rivolta. In conclusione quella società di contadini e operai, con una cultura poco strutturata, era molto differente dall'ambiente in cui va crescendo la rivolta dei nostri giorni. Anzitutto, questa cultura, di per se già diversa, passa attraverso strumenti d'informazione più complessi, più generalizzati, ma nello stesso tempo necessariamente più frammentati e mutevoli nel tempo. Inoltre, anche a causa di questa trasformazione, oggi mancano personalità politico culturali di notevole rilievo espressione della rivolta, come al contrario, ad esempio, era in quel periodo la figura di Toni Negri.
Inoltre, mentre in quella società si poteva parlare chiaramente di borghesia e di classe operaia, oggi la struttura sociale è più instabile e in continua evoluzione, ed è quindi difficile distinguere nettamente due classi dominanti. Ma anche la cultura della violenza si è trasformata. Quella di allora si era formata o rafforzata negli anni della seconda guerra mondiale. Si è quindi passati dal periodo in cui si fece uso della violenza, più o meno armata, durante la resistenza antinazista, cioè durante la guerra, ai primi movimenti rivoluzionari marxisti e leninisti del dopoguerra. Cioè, ripeto, si trattava di una proposta di usare la violenza armata che si era strutturata (e rafforzata) durante il conflitto. Aveva poi continuato a esistere e si era evoluta fino all'emergere delle Brigate Rosse e alla rivolta armata degli anni '70. Ma la fine di tale cultura rivoluzionaria, con la sconfitta delle Brigate Rosse, di Prima Linea e di analoghe strutture politico rivoluzionarie, in un certo senso ha interrotto il corso del fiume della lotta armata. Quindi i nuovi ribelli, nonostante i loro fragili legami con la politica anarchica, devono inventare una nuova forma di lotta. Inoltre, si sono perse alcune radici religiose in qualche modo collegate agli antichi movimenti contadini e comunisti del '500 e del '600, radicati in una particolare interpretazione degli Atti degli Apostoli che, in qualche modo, per molti contadini del tempo orientavano verso una forma di comunismo rivoluzionario. Spesso assalivano i luoghi del potere proponendo lo slogan «Quando Adamo zappava ed Eva filava, signore chi era?».
Ma non soltanto si sono rotti alcuni legami politici sociali e religiosi con il passato. Anche la struttura economica è cambiata. Il livello economico medio di possibili o potenziali terroristi è più elevato, e quindi sono meno disponibili a usare la violenza. In una parola, si tratta di una violenza senza radici, che si vuole ricostruire in un mondo cosi diverso. Tutti questi elementi sono negativi per ogni forma di rivolta violenta contro lo stato ed il sistema dominante, ma esistono anche degli elementi a favore, di cui bisogna tenere conto.
Anzitutto le strutture di controllo, di dominio e di potere, come ad esempio Equitalia, agiscono un po' ovunque nel paese suscitando analoghe reazioni. In una parola: una rivolta dei cantieri di Monfalcone era molto diversa, ad esempio, da una rivolta in una fabbrica di cioccolatini dell'Umbria. Oggi invece la rivolta contro le tasse, provocata da istituti come Equitalia, è uniforme, o almeno simile a Monfalcone e ad Agrigento. Inoltre, i messaggi contro il potere vengono comunicati con maggiore facilità, usando strumenti che viaggiano via internet, di cui non esisteva neppure un esempio nel secolo passato. La contestazione è quindi e indubbiamente meno frammentata di quanto lo era ai tempi in cui il marxismo e il leninismo erano dominanti. Ma, nello stesso tempo, proprio per le caratteristiche culturali della nostra società, il pensiero politico «aggressivo» è meno controllabile, e quindi per certi versi più efficace e capace di penetrare nel tessuto sociale. In una parola, l'anarchia si adatta meglio del comunismo alla società di oggi.
In conclusione, la complessità della situazione, la diversa presenza di vari fattori, un sistema di classe cosi differente, questa nuova cultura, rendono quasi impossibile prevedere il futuro della rivolta. Allora, per le molti ragioni che ho detto, era isolabile e perseguibile e, come sappiamo, fu sconfitta.
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