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Si avvicina il voto, torna la macchina del fango

In una sentenza dove Silvio è solo testimone, riferimenti alla sua vita privata

Si avvicina il voto, torna la macchina del fango

Roma - Con tardivo tempismo, saltano fuori giusto in campagna elettorale le motivazioni della sentenza di condanna di Salvatore «Totò» Castellaneta, processato a dicembre scorso con rito abbreviato in uno stralcio del filone barese sulle escort portate da Gianpaolo Tarantini a Palazzo Grazioli. Nelle 187 pagine, depositate lo scorso 9 aprile, il gup barese Ambrogio Marrone non riserva i giudizi solo per l'imputato, anzi. Nel mirino finiscono anche gli altri protagonisti del filone d'indagine, compreso - ovviamente - Berlusconi, che a Bari, nel processo principale, non è indagato ma testimone.

Così che il giudice esordisce sottolineando lo «sconcertante quadro della vita privata di vari soggetti coinvolti nella vicenda, dalle ragazze sino all'allora presidente del Consiglio, che al di là di una formale apparenza di “cene eleganti”, dissimulava una fiorente attività di esercizio della prostituzione, indotta favorita e sfruttata da buona parte degli odierni indagati». E poco importa che tanto Berlusconi quanto Tarantini abbiano sempre sostenuto che l'ex premier era all'oscuro della natura «mercenaria» delle prestazioni: la condanna di Castellaneta diventa un tiro al bersaglio contro il leader di Fi. Dalle dichiarazioni di una delle escort «emerge l'abitudine di Berlusconi di ricompensare in denaro, ossia retribuire, le ragazze che si intrattenevano con lui per la notte». L'intercettazione tra l'ex premier e Gianpi sulla «patonza» che «deve girare» diventa esemplare dello «spirito che doveva animare i dopocena organizzati dai due». La escort parla di «approcci»? È un «eufemismo»: «Non vi sono dubbi sulle prestazioni sessuali fornite dalle ragazze a Berlusconi».

L'imputato Castellaneta resta quasi sullo sfondo, anche se il gup, alla fine, lo condanna per induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione» di Lucia Rossini e Graziana Capone (avendone ottenuto «indebiti vantaggi», ossia «incarichi istituzionali retribuiti» con Finmeccanica e Protezione civile), assolvendolo invece dall'associazione per delinquere. La caduta del reato associativo con «sistema Tarantini» farà certo tirare un sospiro di sollievo a un po' di gente nel centrosinistra pugliese. Castellaneta, avvocato fasanese con studi a Bari e a Roma, è infatti legatissimo all'imprenditore dalemiano Roberto De Santis, ed è dalemiano lui stesso. A lungo si è detto e scritto che proprio nella masseria di Totò si trovava Baffino il 14 giugno del 2009, quando annunciò, in collegamento con In mezz'ora di Lucia Annunziata, la «scossa» che di lì a poco avrebbe travolto Berlusconi. Lo scrisse persino Bruno Vespa in un libro, ma D'Alema si ricordò di smentire solo 27 mesi dopo, all'indomani del coinvolgimento nelle indagini della «scossa» dell'avvocato vicino a lui e a Nicola La Torre, Castellaneta appunto, che per la procura aveva aiutato Tarantini a procacciare ragazze per le serate romane dall'allora premier.

Non è smentibile, invece, il ruolo di Castellaneta - con De Santis - nella Milano Pace, società di Sesto San Giovanni che ha finanziato la fondazione «Fare Metropoli» di Filippo Penati.

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