I poveri vanno bene, e anzi sono i benvenuti, ma soltanto se di nazionalità italiana: il giovane Fabrizio Ferrandelli, inaspettato vincitore delle primarie palermitane che hanno assestato il colpo definitivo all’alleanza di Vasto e probabilmente anche alla segreteria Bersani, confessa a Repubblica di amare i «disoccupati organizzati», i «senza casa», i «senza niente» e i finanche «figli della strada», ma non gli immigrati che pure sono stati invitati a partecipare alle primarie del Pd: «Quelli - dice convinto - hanno votato per Faraone», il candidato di Matteo Renzi già pizzicato da Striscia per un presunto episodio di voto di scambio.
È un modo ben curioso di essere di sinistra, questo del candidato sindaco della sinistra: persino Gianfranco Fini propone il voto amministrativo per gli immigrati. Ferrandelli invece lo equipara, nei fatti, ad un imbroglio: perché il senso di quella frase, se non significa che gli stranieri puzzano, vuol dire che i loro voti sono manipolati e strumentalizzati.
Non è un’accusa da poco verso chi ha organizzato le primarie, ed è un clamoroso insulto a chi vi ha partecipato senza avere il passaporto italiano. È vero, a Napoli i gazebo erano affollati di «cinesi democratici», pare quasi tutti simpatizzanti del bassoliniano Andrea Cozzolino, e anche allora qualcuno parlò di brogli. Però è curioso che il centrosinistra dapprima decida di far votare tutti alle sue primarie, anche gli extracomunitari, e addirittura si vanti (giustamente) di promuovere in questo modo le politiche di integrazione e di accoglienza; e poi, a urne chiuse e a schede contate e ricontate, indichi proprio negli stranieri un elemento di scarsa limpidezza, di manipolazione del voto se non di vero e proprio imbroglio.
I volponi della politica siciliana che siedono a palazzo d’Orléans, dal governatore Raffaele Lombardo al capogruppo del Pd Antonello Cracolici, hanno sostenuto massicciamente Ferrandelli e oggi sicilianamente gioiscono: in silenzio. Lasciano che sia il loro golden boy a sbracciarsi e a incassare il risultato, mentre a Roma il Pd si dilania per l’ennesima disfatta. La vittoria di Lombardo e Cracolici è tanto più dolce quanto più Ferrandelli, in pubblico, si presenta come un irriducibile difensore degli ultimi, un rinnovatore senza se e senza ma, un’espressione autentica della società civile, e via con tutta l’abituale paccottiglia ereditata dal suo ex guru e ora fierissimo avversario Leoluca Orlando.
Di Orlando il giovane Ferrandelli sembra possedere le due qualità fondamentali: la demagogia e la furbizia. Si presenta come candidato anti-sistema, e ne rappresenta invece a tutti gli effetti la parte sostanziosa che governa con generosità la Regione Sicilia. Si propone come candidato di strada, del «volontariato», della «rete civica» e dei «movimenti», ma respinge come un affronto il voto degli extracomunitari. Si proclama espressione della società civile contro i partiti, ma rivendica con orgoglio di aver iniziato a far politica quando aveva quindici anni, e di farla «da più tempo di Rita Borsellino». Insomma, ha capito che si può dire la qualunque, purché con convinzione e guardando fisso nella telecamera.
Gli manca ancora uno slogan efficace e vuoto come la «primavera palermitana» di orlandiana memoria («C’è futuro a Palermo» è soltanto vuoto), ma, proprio come il suo maestro vent’anni fa, ha capito perfettamente che la sinistra in Sicilia è un castello diroccato e sguarnito che si può saccheggiare a piacimento per accumulare potere personale da giocare ai tavoli che contano davvero, quelli dove la sinistra non è
neppure invitata.Titolava ieri l'Unità con meritevole autoironia: «Sono le primarie, bellezza». E un Ferrandelli in più o in meno, a conti fatti, non cambia molto la situazione. Ma almeno lasciate stare gli immigrati.
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