RomaToni accesi, offese, scontri. Ma alla fine va tutto come previsto e nella Giunta per le elezioni di Palazzo Madama in 15 su 23 votano la «non convalida» di Silvio Berlusconi come senatore, per la condanna Mediaset a 4 anni per frode fiscale.
Uno sprint in camera di consiglio e vince la maggioranza di Pd, Sel, Sc e M5S (compreso il tentennante socialista Enrico Buemi) sugli 8 voti di Pdl, Lega e Gal. È il primo sì alla decadenza legata alla legge Severino. Tempi accelerati per rigettare tutte e 5 le eccezioni sollevate dal leader del Pdl nella sua memoria difensiva, dai ricorsi alla Consulta e alla Corte di giustizia europea sull'irretroattività della legge Severino, all'attesa del responso della Corte di Strasburgo, alla ricusazioni di chi si è già pronunciato sul voto.
Berlusconi non ha voluto esserci, di fronte a questo tribunale politico. E così i suoi legali, Franco Coppi, Piero Longo e Niccolò Ghedini. Affidano ad una nota la protesta per una scelta definita «un gravissimo precedente che mina profondamente la storia democratica del Paese e lo stato di diritto». Per gli avvocati, «tanta fretta» tradisce «il timore che altri organismi potessero emanare statuizioni che modificassero la decisione già assunta».
Tutto questo è stato preparato ieri in una breve udienza pubblica, iniziata nella sala Koch del Senato alle 9,30, in cui i sostenitori del leader Pdl non hanno potuto aprire bocca. Il presidente della Giunta Dario Stefàno (Sel), dopo la sua relazione pro-decadenza, ha deciso di porre solo lui le domande di alcuni dei membri all'unico avvocato presente: Salvatore Di Pardo, legale di quell'Ulisse Di Giacomo che, come primo dei non eletti in Molise, è pronto a subentrargli. Per l'avvocato della controparte, per legge Berlusconi non ha i «requisiti morali» per restare in Parlamento. Dice anche, e la frase suona al Pdl come la conferma di quello che da tempo denuncia, che «la Giunta non è giudice, tenuto all'imparzialità, ma è politica».
E infatti, per il presidente dei senatori Pdl, Renato Schifani, il verdetto è « squisitamente politico». «Inficiato» anche dal «caso Crimi», con quelle volgarità su Berlusconi postate su Facebook dalla camera di consiglio.
Mentre Schifani chiede inutilmente al presidente del Senato Grasso la sospensione immediata della seduta, Ipad e smartphone informano i membri della Giunta di quel che succede fuori. Elisabetta Alberti Casellati protesta duramente con Crimi e chiede un rinvio. Stefàno si consulta con Grasso e non cede: «La mia decisione come presidente è insindacabile», dice. «Siamo - commenta la senatrice - al de profundis della democrazia nel nostro Paese». Alzano la voce anche gli altri Pdl, da Giacomo Caliendo a Lucio Malan. Ma le obiezioni cadono nel vuoto: l'unica cosa che ottengono è che l'aula del Senato voti sulle 5 questioni rigettate.
Il sì definitivo alla decadenza verrà infatti dall'assemblea. Entro 20 giorni, ma già si parla del 14 o 15 ottobre. Proprio quando il Cavaliere dovrà scegliere se scontare la pena agli arresti domiciliari o ai servizi sociali.
Allora Berlusconi, sempre assediato da processi e inchieste, non avrà più lo scudo parlamentare. La perdita dell'immunità consentirà un eventuale arresto senza autorizzazione del Senato, intercettazioni delle sue telefonate, possibili perquisizioni. E impedirà una candidatura per i prossimi sei anni. Il 19 ottobre la Corte d'appello di Milano comunicherà come ha ricalcolato la pena accessoria (scendendo dai 5 anni a massimo 3, come ordinato dalla Cassazione), probabilmente ci sarà un ricorso in Cassazione e alla fine dell'iter scatterà l'interdizione dai pubblici uffici, anche con la perdita del diritto al voto.
Intanto la Giunta si riunirà ancora, la prossima settimana, per la motivazione della sentenza che sarà scritta da Stefàno. Poi, la parola passerà a Grasso e ai capigruppi, che fisseranno la data dell'aula.
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