Ma solo le grandi opere fanno crescere il Paese

La posta in gioco è la criminalizzazione delle nostre grandi opere pubbliche e l'immagine della nostra ingegneria e della nostra industria di tecnologia avanzata

L'installazione della prima paratoia del Mose nel canale di Lido-Treporti a Venezia
L'installazione della prima paratoia del Mose nel canale di Lido-Treporti a Venezia

Del Mose, la gigantesca opera pubblica concepita con tecnologie avanzate dall'ingegneria italiana e attuata da un consorzio di nostre grandi, medie e piccole imprese, per la salvaguardia di Venezia dall'acqua alta, si hanno notizie solo per le tangenti e i finanziamenti illeciti, veri o falsi, a politici e funzionari pubblici e per le dicerie con cui si infangano persone che non c'entrano per cercare di far dimenticare il coinvolgimento del Pd. L'inchiesta giudiziaria è svolta con grande prudenza e chi la dirige non la strumentalizza. Il governo in carica avrebbe dunque una ampia possibilità di comportarsi allo stesso modo. Ma non sembra voler capire che la posta in gioco è la criminalizzazione delle nostre grandi opere pubbliche e l'immagine della nostra ingegneria e della nostra industria di tecnologia avanzata. Ed è in gioco l'immagine mondiale di Venezia. Renzi, che doveva rinnovare l'Italia, invece di cercare di documentare gli italiani e l'opinione mondiale sui costi, sui risultati per la difesa dall'acqua alta e sul finanziamento e lo stato di avanzamento dell'opera (che fortunatamente sembra stia per esser completata, in tempi ragionevoli, per un impegno come questo) si comporta con la solita reazione della sinistra giustizialista. E decide di riunire il Consiglio dei ministri, non per esaminare e far sapere se, a parte le questioni penali, c'è o non c'è un lavoro ben fatto, se qualcosa non ha funzionato e occorre rimediare. Affronta il problema con grida manzoniane, proponendo sanzioni più severe nel codice e procedure più esigenti per gli appalti e le altre incombenze amministrative. Le imprese di costruzioni e impiantistica sono sempre più piene di avvocati. Le procedure per il realizzo delle grandi opere non vanno appesantite, ma alleggerite perché le imprese migliori si mettono in gara se ci sono meno inghippi procedurali, complicazioni e incertezze interpretative. Cesare Beccaria insegna che non è l'ammontare della pena, ma la sua certezza che agisce da deterrente. Si sta, dunque, scherzando con il fuoco, in un periodo di declino del nostro investimento e di ascesa della nostra disoccupazione e del nostro debito pubblico in rapporto al Pil: il cui andamento è di semi stagnazione e avrebbe bisogno di scosse. La criminalizzazione delle grandi opere è un bacillo che sta nel Dna della sinistra giustizialista con tendenza pauperista. Ha infettato l'alta velocità in Val Susa prima bloccandola e poi ritardandola enormemente e facendone lievitare i costi, con effetti negativi non solo per la Torino-Lione, ma anche per la Lisbona-Kiev di cui è l'asse portante. Una posta in gioco enorme. Ancora peggio è andata per l'alta capacità e alta Velocità Milano-Genova, asse essenziale per la Rotterdam-Genova, necessaria per rivitalizzare il porto di Genova e l'industria della Liguria. Questo virus della sinistra giustizialista ha già infettato l'Ilva di Taranto i cui lavori di risanamento sono in grave ritardo e sta infettando l'Expo di Milano. E Renzi non risponde sposando la causa degli investimenti, ma quella del più uno rispetto ai grillini e alla sinistra critica, con cui condivide anche l'amore per le tasse (vedi ora l'aumento del bollo auto per finanziare le città metropolitane che sotituiranno le Pronvice). Ci sono due modi per spiegare la storia dell'Italia nell'epoca giolittina. Uno è quello di scrivere che Giolitti fu il ministro della malavita come disse Salvemini e poi fu detto nella vulgata fascista e ripetuto in quella comunista.

L'altro è di spiegare che nel periodo di Giolitti la lira fece aggio sull'oro, il debito scese al 68% del Pil, venne realizzato il traforo del Sempione, il più lungo del mondo, si completò la rete ferroviaria, si realizzarono le cooperative, le casse di risparmio, le mutue previdenziali e l'Italia ebbe finalmente una struttura industriale capitalistica, in ascesa. Quella che ora si desidera buttar via.

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