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La spaccatura fra scissionisti e lealisti. Matteoli: indietro non si torna

RomaE alla fine Gasparri mise la mordacchia a La Russa. Un inedito, posto che i due, negli ultimi anni, sono sempre andati in tandem. Questa volta no. Di fronte all'ira funesta dell'ex ministro della Difesa, è stato proprio il capogruppo pidiellino al Senato a frenare: «Cautela Ignazio, cautela!».
Il fatto è che nell'arcipelago ex aennino è tutto uno schiumare rabbia. Ce l'hanno con gli ex forzisti, con le sparate di Giancarlo Galan e Nunzia Di Gerolamo che avevano detto di preferire Renzi a La Russa e Gasparri; ce l'hanno con l'ex ministro azzurro Mariastella Gelmini che ha piazzato la sua bandierina sul convegno «Ripartiamo dal Nord per far crescere l'Italia» senza utilizzare il simbolo del Pdl; ce l'hanno con il partito che non va più. I nervi maggiormente scoperti li ha, appunto, Ignazio La Russa. Con lui altri pezzi grossi del partito, soprattutto lombardi: Massimo Corsaro, Viviana Beccalossi, Riccardo De Corato e altri. I mal di pancia cominciano a raggiungere livelli di guardia, tanto da far prefigurare lo strappo. Una «scissione morbida» dal Pdl per dar vita a qualcosa d'altro, magari federato al partito di Berlusconi e Alfano.
Venerdì notte, prima e dopo il vertice col Cavaliere, i colonnelli si sono visti e rivisti. Alleato a La Russa anche il gruppo che fa riferimento a Giorgia Meloni e Fabio Rampelli: i cosiddetti «gabbiani». L'idea sarebbe fondare qualcosa di nuovo perché, come dice Rampelli, «il 99% dei parlamentari del Pdl è insoddisfatto del partito. Abbiamo tollerato per anni ma adesso basta. Vogliamo vincere - si sfoga il deputato - invece il partito è ingessato dal punto di vista organizzativo, anestetizzato dal punto di vista delle proposte e non sappiamo neppure chi sarà il nostro candidato premier». Scissione in vista, quindi? «Qualcuno la immagina, sì, certo. Anche se non è la mossa principale». Per ora, quindi, soltanto una minaccia. A frenare i propositi di una spaccatura, si diceva, l'intervento forte di Gasparri: «Attenzione Ignazio: che senso ha farlo adesso? Non si sa nemmeno con quale legge elettorale si va al voto...». Sì perché la tenuta dell'attuale Pdl passa anche dal post Porcellum. Con un premio di maggioranza al partito, fondare qualcosa di nuovo sarebbe suicida. Se invece il premio andasse alla coalizione, la mossa di federarsi potrebbe convenire. A tutti.
Ma parlare di ex An è una semplificazione che trae in inganno. Matteoli e i suoi (Filippo Ascierto, Maurizio Bianconi, Basilio Catanoso, Manlio Contento, Alberto Giorgetti, Marco Martinelli), per esempio, sono iperscettici sullo strappo. E proprio Matteoli l'ha detto chiaro e tondo all'ex ministro della Difesa: «Caro Ignazio, non esiste un monolite ex An, sappilo». Insomma, cinquanta sfumature di post missinismo. A rendere più chiaro il concetto, il matteoliano Bianconi: «Noi vogliamo solo un Pdl più forte e la gente ci chiede unità e sobrietà. Io mi sento pidiellino e non un “ex” di alcunché». No alle separazioni anche da Amedeo Laboccetta: «Le scissioni a destra sono sempre finite male. Basti vedere Fini che s'è autodistrutto». E da Marcello De Angelis, direttore del Secolo d'Italia: «La Russa e Gasparri, dopo aver subito attacchi sul piano personale, avevano il diritto-dovere di andare da Berlusconi e Alfano e chiedere se il desiderio di pulizia etnica di Galan fosse condiviso dai vertici del partito oppure no. Ma mi pare che la cosa sia rientrata.

Dobbiamo tirare la carretta tutti insieme».

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