di Tullio Avoledo
Ai tempi del declino dell'Impero romano non erano pochi i cittadini che per sottrarsi all'esosità del fisco imperiale cercavano rifugio non in Parlamento ma tra i barbari, varcando il confine e scomparendo per sempre da quella che veniva chiamata civiltà. Lo stesso fanno, di questi tempi, centinaia di americani che scelgono, sulla base di un'antica e rispettata tradizione, di abbandonare le loro case e vivere nei boschi, lontani da fastidi come i documenti d'identità, i mutui, i telegiornali e (beh, sì, ovviamente) le tasse. Gente come i 100.000 o 200.000 «Sovereign Citizens», che rifiutano persino la moneta del loro paese, riadottando il baratto e rifiutando di essere molestati da qualsiasi forma di autorità (a volte anche con reazioni estreme, che hanno portato l'Fbi a classificarli tra i «terroristi interni»). Ma se parliamo di sparire veramente, beh, parliamo di un livello decisamente più alto.
Su internet si possono trovare guide accurate su come far perdere le proprie tracce, impresa decisamente meno facile che in passato in questi tempi ad alta tecnologia. Meno facile ma non impossibile, come dimostrano le statistiche sul continuo aumento delle persone scomparse. Gran parte di queste sono sparite non per loro volontà, e la loro assenza è resa ancora più lacerante dall'impossibilità di sapere cosa ne sia stato. Il silenzio sulla loro sorte è una pena aggiuntiva a un dolore già insopportabile per chi rimane.
Ma mi piace pensare che fra coloro che scompaiono ogni anno ce ne sia almeno uno (dai, uno ci sarà!) che ha fatto dello sparire una scelta volontaria di vita. Qualche anno fa Eugenio Finardi cantava «Adesso che ho quello che ho sempre voluto / mi sento un tantino legato, / Vorrei sparire per ricominciare da capo / con un nuovo mazzo di carte, un nuovo gioco». Chi di noi, pensando al proprio lavoro, al passare degli anni o al proprio tran tran familiare, non ha desiderato, almeno una volta, di avere una nuova opportunità? Un tempo si diceva alla moglie, o al marito (lo dico per via del politically correct, ma in realtà quasi sempre era il marito), «esco a prendere le sigarette», e anni dopo si veniva a sapere che il tabacchino era all'Asmara, o nella Terra del Fuoco. Un tempo le distanze contavano, e le difficoltà di comunicazione rendevano possibile sparire in modo facile e relativamente economico. In quasi tutte le famiglie si racconta la storia di un prozio, o di un cugino, che un giorno si è imbarcato per «le Americhe», come una volta si diceva, e non è più tornato. Molti di loro si rifacevano una vita. E magari, dopo qualche anno, scappavano anche da quella
Provateci adesso. Impantanati come siamo nei social network, schiavi delle carte di credito e dei telefoni cellulari, siamo invisibili più o meno come un King Kong fluorescente sulla cima dell'Empire State Building. Le guide che insegnano come scomparire non mancano di mettere in guardia sul fatto che ognuno di noi è facilmente rintracciabile, e che i satelliti sono ormai in grado di ricostruire una conversazione all'interno di una casa basandosi sulle vibrazioni dei vetri. In un mondo del genere, in cui i luoghi un tempo più inaccessibili del pianeta oggi vengono visitati dai gitanti dei circoli aziendali, non sembra esserci più un luogo in cui poter scomparire. Molti riescono ancora a sottrarre ingenti patrimoni alla vista degli altri (soprattutto del Fisco), ma questo non è sparire. Per sparire davvero ci vogliono intelligenza e dedizione. È diventata quasi una forma d'arte, non più alla portata di tutti. Del resto, di questi tempi, scomparire vuol dire forse rendersi veramente liberi. Lo scienziato americano di origini ungheresi Albert-László Barabási, nei suoi due saggi «Lampi» e «Link - La scienza delle reti» rivela come ogni individuo lasci nella rete del World Wide Web tracce che rendono prevedibile il suo comportamento, anche quando ci si ritiene imprevedibili. Una società americana, la Recorded Future, si è spinta ancora più in là, fino a formulare previsioni economiche, politiche o militari basate sui cosiddetti «Big Data» che milioni di utenti inconsapevoli riversano sul web. Analizzando i dati presenti in blog e social network, Recorded Future ha previsto, per dirne una, la causa tra Apple e Samsung (e persino il suo esito), ma anche altri fatti apparentemente imprevedibili. In altre parole, l'individuo è ormai trasparente non solo nelle sue azioni ma anche nelle sue preferenze e nelle sue intenzioni. Un'edizione riveduta e aggiornata ai nostri tempi degli incubi del 1984 orwelliano. Qualche anno fa aveva suscitato una vera e propria sollevazione popolare la proposta del governo laburista inglese di marcare con un microchip i neonati, rendendoli rintracciabili. Eppure milioni di utenti forniscono ogni giorno volontariamente alla Rete i propri spostamenti, le preferenze di spesa, a volte persino le proprie opinioni politiche. E questo in un mondo che considera i dati presenti nella Rete un'autentica miniera d'oro.
Anche senza potermi permettere i servigi della Recorded Future avanzo una mia personale previsione: scomparire, rendersi invisibili al Potere e all'Economia, diventerà la nuova frontiera della resistenza civile. Scomoda, controcorrente, praticata all'inizio da pochi, l'invisibilità digitale sarà l'unica possibile in un mondo ipertecnologico, in cui in famiglia si comunica via mail, i vicini non si guardano nemmeno più in faccia e la propria scomparsa agli occhi degli altri, purtroppo, non è più una scelta ma un dato di fatto.
Salutiamo commossi, come saluteremmo i primi buffi pionieri del volo, quegli eroi che hanno fatto la difficile scelta di sparire nel modo tradizionale, rendendosi invisibili, purtroppo, anche all'interno delle tristi statistiche. Salutiamo, tra quei 25.433 scomparsi, quelli tra loro, pochi o tanti che siano (non lo sapremo mai ), che in un impeto di coraggio o di follia hanno saputo aprirsi, e aprirci, le porte di una nuova vita.
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