Sprint dei giudici per condannare il Cav

Processo Mediaset: le toghe vogliono accorciare i tempi dell’Appello ed evitare la prescrizione

Sprint dei giudici per condannare il Cav

Milano Un processo le cui origini si perdono nelle brume del tempo rischia di essere il primo che in questo secolo porta ad una con­danna di Silvio Berlusconi. Men­tre i ri­flettori dei media erano acce­si in permanenza sull’aula del Ru­bygate, davanti ad un altra sezio­ne del tribunale milanese proce­deva con fatica e lentezza un altro processo, quello per la complica­ta vicenda dei diritti televisivi comprati da Fininvest e Mediaset per mandare in onda i film delle major hollywoodiane. Ma ades­so, dopo oltre cinque anni di udienze, siamo alla puntata fina­le. Questa mattina i giudici della prima sezione penale ascolteran­no le ultime arringhe difensive e poi si ritireranno finalmente in ca­mera di consiglio. Quando usci­ranno con la sentenza, per il Cava­liere potrebbe esserci un dispiace­re. Se dovessero accogliere le ri­chieste del pubblico ministero Fa­bio De Pasquale, i giudici dichiare­rebbero Berlusconi colpevole di frode fiscale e lo condannerebbe­ro a tre anni e otto mesi di carcere.

Non accadrà oggi, in ogni caso. Il presidente del collegio, il giudi­ce Edoardo d’Avossa, ha già fatto sapere che la camera di consiglio durerà alcuni giorni. Sia d’Avossa che i giudici a latere hanno annul­lato ogni altro impegno per tutta la settimana, segno che la senten­za potrebbe non arrivare prima di venerdì. Perché una riflessione così lunga, visto che una qualche idea i tre giudici avrebbero già do­vuto essersela fatta? La risposta è semplice: il tribunale si accinge a scrivere non solo il dispositivo del­la s­entenza ma anche le sue moti­vazioni, le centinaia di pagine che di solito impiegano mesi e mesi per venire depositate, che invece questa volta verranno stese «in di­retta», in una caserma dei carabinieri. E tutto questo per accorciare i tempi dell’even­tuale processo d’appello, e impe­dire che il caso venga inghiottito dalla prescrizione.

Entro il week end, insomma, Berlusconi si potrebbe ritrovare con addosso una condanna: per la prima volta dall’ormai remoto 1998, quando venne condannato per il caso All Iberian (poi prescrit­to in appello). Ma per emettere una sentenza, qualunque essa sia, i giudici dovranno prima aggi­rare un ostacolo: perché la Corte Costituzionale deve ancora deci­dere se nel corso del processo sia­no state effettivamente rispettate le prerogative di Berlusconi come capo del governo; in particolare in occasione di una udienza del marzo 2010, quando d’Avossa ri­fiutò il rinvio del processo nono­stante che Berlusconi fosse impe­gnato a Palazzo Chigi. Fino a quando la Consulta non avrà dato una risposta, sostengono i legali dell’ex premier, non si può dire la parola fine del processo. Ma la sensazione è che il tribunale mila­nese intenda andare comunque avanti.

Le accuse a Berlusconi e agli al­tri imputati - tra cui il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, anch’egli destinatario di una ri­chiesta di tre anni e otto mesi di carcere - ruotano intorno al mec­canismo di acquisto dei diritti dei film americani, attraverso il me­diatore Frank Agrama. Secondo la Procura, i costi dei film sarebbe­ro stati sistematicamente sovra­fatturati: consentendo a Finin­vest di pagare meno tasse, e a Ber­lusconi, «socio occulto di Agra­ma », di accumulare fondi neri. «Su quei soldi ci sono le impronte digitali di Berlusconi», ha detto De Pasquale nella sua requisito­ria. «Impronte? In realtà non ci so­no neanche i soldi - gli hanno ri­sposto i difensori - perché non è vero che i prezzi siano stati gonfia­ti.

E comunque una cosa è certa: al­la fine degli anni Novanta, quan­do il reato si sarebbe consumato, Berlusconi si occupava di politica a tempo pieno e non della contabi­lità dell’azienda».

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