Uno sputo in faccia ai produttori seriil commento 2

Continuiamo così, facciamoci del male. La notizia non è che il micidiale Barolo liofilizzato, l'Amarone della Valpolverella, il Brunello di Montal-kit siano in vendita in alcuni Paesi che capiscono di vino come noi di Sakè. La contraffazione, il giocare sull'italianità dei prodotti (si chiama Italian sounding) produce danni per 60 miliardi l'anno alla nostra bilancia commerciale, oltre a sbianchettare 300mila posti di lavoro. Ma non è una novità. Poi, se qualcuno in qualche angolo del mondo trae godimento da un bel bicchiere-Ikea assemblato con polverina violacea, acqua del rubinetto e trucioli (manca solo la brucola), si merita almeno un po' di mal di pancia, italiano o no. La notizia è un'altra. Che, cioè, complici del business forse non truffaldino ma certo ambiguo siano alcune aziende italiane che guadagnano sulla pelle dell'intero vigneto Italia. Un autogol che ricorda altri episodi di autolesionismo enoico, come la Brunellopoli che scosse il Vinitaly alcuni anni fa. E, ancora peggio, il tentativo successivo di modificare il disciplinare dei vini di Montalcino snaturandoli e sanando a posteriori i tagli illeciti compiuti. Un po' come risolvere il problema della mafia facendone una Spa.
Certo, chi compra il wine kit non acquisterebbe mai un vero Barolo vero, quindi il danno economico è relativo.

Ma conta la macchia per la reputazione del vino italiano, lo sputo in faccia ai produttori seri che lottano contro la crisi, il clima, la concorrenza, la tentazione di lasciar perdere. E ora sognano un grande aspirapolvere.

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