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Stavolta a pagare è la toga: "Deve risarcire 15 milioni"

L’ex procuratore capo di Pinerolo è accusato di aver ideato un giro di false consulenze per incassare ricche percentuali

Stavolta a pagare è la toga:  "Deve risarcire 15 milioni"

La giustizia era diventata un business. In uno spicchio del Piemonte la procura funzionava come un’azienda fabbricando consulenze inesistenti per un fatturato complessivo di 15 milioni di euro. Per la precisione, 15 milioni e 200 mila euro. Ecco, è questo il conto, astronomico, che la Corte dei Conti chiede all’ex procuratore di Pinerolo, Giuseppe Marabotto. E alla cerchia dei suoi complici. Per molti italiani Marabotto è solo un puntino sfocato nella memoria, legato alla sua partecipazione come ospite fisso, per più di una stagione, al «Processo» di Biscardi. Ma quello è il passato civettuolo in tv. Lo scandalo di Pinerolo, cittadina in provincia di Torino, esplode nel 2009 quando il magistrato viene arrestato per aver ideato e gestito un sistema fittizio di consulenze, con spartizione degli utili fra lui e un grappolo di commercialisti compiacenti.

Viene a galla una realtà sconvolgente; quando era a capo della piccola procura piemontese, fra il 2002 e il 2006, il magistrato aveva escogitato un sistema semplice semplice e infallibile per fare cassa: apriva inchieste su diverse società e distribuiva incarichi non necessari a professionisti che sapevano come regolarsi. Si scavava, con discrezione, in modo soft, perché gli accertamenti venivano condotti a modello 45, quello in cui non ci sono notizie di reato. La macchina girava ma girava a vuoto. Alla fine, una parte dell’onorario, pagato naturalmente dallo Stato, veniva girata a Marabotto: in media una percentuale pari al 30 per cento. Così funzionava la ragnatela dei rapporti illeciti, mascherata dietro le targhette rispettabili di studi ben avviati.

Marabotto, che nel 2006 si è trasferito a Genova, si difende arrampicandosi sugli specchi: sostiene che quelle procedure servivano per portare soldi non nei suoi salvadanai ma nei caveau dell’erario. Una tesi spericolata, che non convince nessuno. Il gip scrive parole durissime: «È emersa una personalità incline alla truffa e alla corruzione per il conseguimento di un qualsiasi vantaggio economico». Nel 2010 il magistrato, ormai avviato verso la pensione, patteggia una pena importante: 4 anni e 4 mesi. E si arrende alla giustizia: «All’inizio credevo ancora nei risultati, nell’utilità delle consulenze, poi la situazione è sfuggita di mano».

Qual è stato il fatturato della Marabotto spa? La corte dei conti dispone precauzionalmente il sequestro conservativo di beni per oltre cinque milioni di euro.

I conteggi, intanto, vanno avanti. La giustizia, anche quella contabile, è lenta ma alla fine arriva a destinazione: il procuratore regionale del Piemonte Corrado Croci quantifica il danno provocato all’erario in 15 milioni e duecentomila euro. Quindici milioni e spiccioli perfettamente sprecati, quindici milioni divisi fra la toga e ben 21 commercialisti. Insomma, il collaudato metodo Marabotto era utilizzato per finanziare un battaglione di professionisti.

Lui, intervistato da Nicolò Zancan della Stampa, china il capo e si cosparge di cenere: «Sono un uomo che ha commesso dei reati. Peggio: sono un ex uomo di legge che ha commesso dei reati. Dottor Jekill e mister Hyde». Ora dovrà raggranellare i soldi: «Ho fatto rientrare tutti quelli che potevo - spiega, sempre alla Stampa - quelli che mancano purtroppo non sono nella mia disponibilità. Erano su un conto a Montecarlo, li ho dati a un commerciante marocchino, Houanimi. Lui li ha portati in Marocco».

Ora la corte bussa a casa del magistrato, dei professionisti e di un cancelliere. La caccia al tesoro va avanti.

Aspettiamo fiduciosi.

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