Sugli statali Renzi prende tempo «Rivoluzione» solo annunciata

Roma«Turbo-Renzi» ha superato se stesso. Il Consiglio dei ministri di ieri ha esaminato le proposte di riforma della Pubblica amministrazione senza varare nessun provvedimento. I programmi sono e resteranno sulla carta fino al 13 giugno, data nella quale sarà convocata una nuova riunione per varare un ddl delega. Nel frattempo, i progetti saranno tema di discussione fino al 30 maggio con tutti i dipendenti pubblici - cui è stata indirizzata una lettera aperta - che potranno replicare via mail all'emblematico indirizzo rivoluzione@governo.it.
«Preferirei evitare il decreto perché non ho paura del confronto», ha detto ieri l'esuberante premier durante la conferenza stampa nella quale le consuete tecnicalità sono state delegate al ministro competente Madia. «Tutte le promesse le stiamo mandando avanti», ha ribadito un Matteo Renzi le cui proposte si impantanano sempre più non tanto per causa di una maggioranza traballante quanto di un Pd che si ribella al suo segretario.
E sicuramente nella Pubblica amministrazione, tradizionale bacino di voti del centrosinistra, i programmi renziani sono destinati a fare molti scontenti. «Non ci sono esuberi», ha esordito il premier sconfessando il commissario alla spending review Cottarelli, ma il capitolo prepensionamenti è tuttora aperto. L'idea di fondo è di evitare il trattenimento in servizio dei pensionabili e liberare almeno 10mila nuovi posti (anche se per il premier si potrebbe arrivare fino a 18mila). Insomma, il principio è quello che guida le ristrutturazioni aziendali: si mandano via gli anziani «costosi» per far entrare giovani con retribuzioni meno elevate. È prevista, tuttavia, la possibilità di «demansionare» (retrocedere a un incarico inferiore) i dipendenti non più funzionali a un determinato ruolo. Per l'ennesima volta è stato rilanciato il tema della mobilità.
Confermato il tetto degli stipendi a 240mila euro per i dirigenti, non ci saranno tagli agli altri salari ma una soppressione delle fasce con la creazione di un ruolo unico. E un'indicizzazione degli stipendi alle performance. Gli unici licenziabili sono i manager che resteranno senza incarico «entro un determinato termine». Fa sicuramente timore l'idea di lasciare «flessibilità» alle amministrazioni locali nelle assunzioni: non ci sarà un tetto agli organici, ma un limite di spesa.
La parte risparmio è sicuramente ambiziosa. L'idea è ridurre le Prefetture a un massimo di 40, eliminare le sedi provinciali della Ragioneria dello Stato e, come annunciato in precedenza, accorpare Aci, Pra e Motorizzazione civile. Saranno unificate le scuole di formazione della pubblica dirigenza (attualmente cinque) ed è prevista anche la razionalizzazione delle autorità portuali e la centralizzazione degli acquisti delle forze di polizia. A Bankitalia, infine, saranno affidate le competenze della sopprimenda Commissione di vigilanza sui Fondi pensione (Covip).
Il terreno sul quale lo scontro sarà più duro è duplice. Il primo sarà quello con i sindacati: l'intento di Renzi è di tagliare del 50% il monte ore per i permessi sindacali (vera «pacchia» per molti impiegati). Altro tema scottante sarà quello, in ottica di semplificazione (confermato il pin unico per i rapporti con la Pa), dell'eliminazione dell'obbligo di iscrizione delle imprese alle Camere di commercio.
Tra i motivi della cautela Renzi ha citato non solo la volontà di dialogare con le parti sociali ma anche quella di non esporsi a strumentalizzazioni elettoralistiche.

Peccato che come ha notato Renato Brunetta, capogruppo di Fi alla Camera e autore della riforma della Pa tuttora in vigore, «il rinvio sia legato alla paura della reazione contraria dei dipendenti e delle loro famiglie». Ma «se vuole cambiare, siamo con lui», ha aggiunto ricordando che gli strumenti per agire già ci sono.

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