Sui mercati la paura è già finita: Borsa in recupero, cala lo spread

L'impronunciabile Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung, meglio noto sotto l'acronimo di Zew, è un indice che misura la fiducia degli investitori tedeschi. Ma non solo: a detta di qualcuno ha anche straordinari poteri. Riesce infatti, come un colpo di bacchetta magica, a far sparire la Grande Paura da Piazza Affari, a dissolvere gli incubi di un'intera comunità finanziaria scopertasi, d'improvviso, orfana di Mario Monti e del suo rigore germano-centrico. Ieri, dopo i toni apocalittici sentiti lunedì a corredo di una giornata storta (benchè meno peggio di tante altre), i mercati si sono ripresi: la Borsa ha incassato un +1,51% e lo spread Btp-Bund è ripiegato di una decina di punti riposizionandosi a quota 340. Merito della risalita oltre le attese dello Zew in dicembre? Improbabile, visto che l'indice è noto per la sua volatilità. Insomma: non proprio il paradigma dell'attendibilità.
In realtà, il recupero dei mercati dimostra come quella d'inizio di settimana sia stata la classica tempesta in un bicchier d'acqua, in parte alimentata dai burattinai della speculazione. Gli stessi che lunedì si sono presentati all'incasso per incamerare ricche plusvalenze, salvo poi rimettere ieri il vestito di chi compra. A prezzi più bassi. Certo, i 60 punti base in più accumulati dal differenziale di rendimento tra Btp e Bund in sole tre sedute (da giovedì della scorsa settimana, quando si è capito che Silvio Berlusconi stava tornando al timone del Pdl e stava venendo meno l'appoggio del centro-destra a Monti, fino a lunedì) non sono noccioline. Soprattutto perché lo spread era sceso sotto la soglia psicologica di 300. Intendiamoci: non grazie a Monti, ma piuttosto per il via libera agli aiuti alla Grecia.
Se si depura la reazione dei mercati dalla componente speculativa, è evidente che le dimissioni di Monti hanno alimentato i timori che dalle prossime elezioni possa uscire instabilità politica. O, peggio, la formazione di un governo poco o nulla disposto a proseguire sulla strada delle (poche) riforme strutturali messe in piedi dall'attuale esecutivo. Sotto questo profilo, gli investitori hanno probabilmente solo anticipato quanto avrebbero fatto più avanti, nei giorni precedenti l'appuntamento con le urne. C'è però un altro aspetto impossibile da ignorare: riguarda la crescita che non c'è (e che non ci sarà almeno fino al 2014, a sentire Confindustria), e l'assenza di provvedimenti destinati a far ripartire il motore economico dell'Italia. Le misure di austerity montiane, con il diluvio di tasse che ha prosciugato le tasche di chi ancora le paga, hanno finito per incancrenire la crisi, deprimendo consumi privati e investimenti già al lumicino. Senza peraltro incidere sul debito pubblico, che anzi flirta pericolosamente con i 2mila miliardi di euro.


Il vero test per verificare i rischi di instabilità politica si potrà semmai verificare meglio tra oggi e domani, quando il Tesoro collocherà titoli per un ammontare fino a 10,5 miliardi. In ogni caso, le emissioni previste nel 2013 non supereranno i 410 miliardi (di cui 140 miliardi tra gennaio e marzo del prossimo anno) contro i 470 del 2012. Un grattacapo in meno per chi dovrà governarci.

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