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«Sul lavoro Renzi sa fare solo slogan»

«Sul lavoro Renzi sa fare solo slogan»

Roma«Ma quale coraggio! Il job act di Renzi per adesso non è altro che un titolo. Al presidente americano Barack Obama il sindaco di Firenze ha copiato soltanto un titolo, visto che sul testo della proposta Renzi è il primo ad avere le idee confuse». Renata Polverini, parlamentare di Forza Italia, già governatore del Lazio e con un lungo passato alla guida della sigla sindacale Ugl, non si fa incantare dalle idee (poche e confuse) rilanciate in questi giorni di festa sul tema del lavoro e dell'occupazione.
Anche Angelino Alfano si è mostrato critico nei confronti del dietrofront di Renzi sull'articolo 18 e ha addirittura lanciato l'idea di sostituire i contratti nazionali con quelli individuali e aziendali.
«Come a dire: dalla padella alla brace! Il Far West della contrattazione, invocato dal vicepremier, non solo non risolverebbe il drammatico problema della disoccupazione, ma creerebbe il caos nelle relazioni industriali e un'ulteriore riduzione dei diritti dei lavoratori. È un'idea che sicuramente non piacerà ai lavoratori e nemmeno ai loro datori di lavoro».
Però è più di un luogo comune l'idea che gli imprenditori vedrebbero bene la cancellazione dell'articolo 18.
«Forse la cancellazione di quella norma, di certo non l'idea di contratti individuali».
Perché un'azienda dovrebbe porsi problemi di fronte ai contratti individuali?
«Se parliamo di una grande azienda i problemi sono ovviamente pochi. Grandi strutture vantano un apparato amministrativo capace di reggere la mole di lavoro delle contrattazioni individuali, ma le piccole imprese, quelle magari a conduzione familiare, no. Insomma il Far West non serve a nessuno, se non ai forti».
Quindi secondo lei il ruolo dei sindacati nella contrattazione collettiva è ancora centrale?
«Basti pensare che dal 2007 a oggi sono andati persi oltre un milione e 800mila posti di lavoro. Senza la mediazione delle organizzazioni sindacali sarebbe stato impossibile evitare il deflagrare di questa “bomba sociale”. Da noi si sottovaluta il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza che spesso giocano un ruolo di veri e propri ammortizzatori sociali».
Cosa pensa dell'idea avanzata da Renzi di un triennio senza tutela dell'articolo 18 per i neo assunti?
«Somiglia molto alla vecchia proposta di Piero Ichino. Sicuramente è un'idea su cui discutere. Soprattutto se è un modo per facilitare l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani. Il punto, però, è un altro».
Quale?
«Si possono cambiare le norme sul mondo del lavoro, l'importante però è difendere il lavoro che ancora c'è».
Quindi l'articolo 18 non è il punto nevralgico per un cambiamento di sistema?
«Dopo le feste presenteremo alla Camera una proposta di legge per la difesa dell'occupazione. E il primo punto è quello di favorire gli investimenti per la creazione del lavoro. Una riforma veramente organica deve partire proprio dall'analisi di cause ed effetti di questa situazione disastrosa. E la causa prima è senza dubbio la crisi economica e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione e chiusura delle imprese».
Incentivare gli investimenti è un vecchio adagio, ormai.
«Bisogna dare risposte concrete. Favorire gli investimenti ed esigere dalle grandi aziende che facciano altrettanto in ricerca e sviluppo.

E poi pensiamo a una radicale modifica delle agenzie di collocamento, con interventi di privati, e con un sistema che premi anche la loro produttività».

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