Tassista in coma dopo la lite L'aggressore: «Una disgrazia» Viviamo nell'era dell'homo schizzatusil commento 2

Tassista in coma dopo la lite L'aggressore: «Una disgrazia» Viviamo nell'era dell'homo schizzatusil commento 2

MilanoDavanti agli agenti in divisa che lo avevano cercato ininterrottamente per sedici ore, non ha opposto resistenza, non ha tentato di scappare, non ha nemmeno fatto lo gnorri. Ha capito che le bugie codarde e la paura ottusa che gli avevano offerto quel ristretto margine di libertà immaginaria erano finiti. E che la polizia lo stava portando dove avrebbe dovuto recarsi molto prima ma di sua iniziativa: in questura. Anche stavolta il «mostro» ha il volto di un uomo come tanti. Davide G. R., 48 anni, consulente informatico per aziende private, padre di due figli e con un terzo in arrivo, un precedente per lesioni risalente al lontano 1985, è accusato del tentato omicidio del tassista 68enne Alfredo Famoso che ha aggredito domenica sera per una mancata precedenza a un incrocio all'angolo tra piazzale Bacone e via Morgagni, in zona Buenos Aires.
«Una vicenda drammatica e tristissima» come ci ha tenuto a definirla ieri sera Maria José Falcicchia, dirigente dell'Ufficio prevenzione generale della questura che ha coordinato l'inchiesta lampo insieme al pm Maria Teresa Latella. Domenica intorno alle 20.40, infatti, il consulente informatico, di ritorno a casa dalla spesa in un vicino supermercato, sta per attraversare la strada sulle strisce pedonali insieme alla compagna 37enne, incinta di otto mesi, quando il tassista, che non rallenta in prossimità dell'incrocio, è costretto a inchiodare per non travolgerli. Tra la vettura e i pedoni non c'è contatto. Davide R., però, si fa prendere dalla rabbia e sbatte la confezione da sei bottiglie di plastica da un litro e mezzo ciascuna che tiene in mano contro lo specchietto del tassista. Quando Famoso, irritatosi a sua volta, scende per chiedere spiegazioni di quell'atteggiamento tanto violento, il consulente finanziario afferra una delle bottiglie e gliela tira in testa. Un gesto, una tragedia: il tassista perde l'equilibrio, barcolla e prima sbatte la testa contro la ruota posteriore di un fuoristrada parcheggiato ai margini della strada, quindi a terra. «I testimoni hanno detto che sembrava si fosse addormentato di colpo» spiegano gli investigatori. In realtà Famoso finisce in coma e, anche dopo un'operazione d'urgenza all'ospedale Niguarda, non riprenderà più conoscenza.
Dinnanzi a quell'uomo ormai privo di sensi Davide R. non fugge. Non subito almeno. Dopo alcuni minuti, quando la compagna lamenta un malessere, il consulente informatico promette ai testimoni che hanno chiamato l'ambulanza e attendono l'arrivo della polizia di accompagnare la donna a casa e di tornare subito sul posto. In garanzia della sua buona fede lascia però un indirizzo e un numero di telefono di un'abitazione in zona Niguarda, dall'altra parte della città, dove non abita più da due anni. E non si fa più vivo. Per ritrovarlo la polizia, dovrà fare un lavoro certosino porta a porta, con appostamenti e controlli incrociati di dati e dettagli. Isolando le immagini delle telecamere, raccogliendo informazioni in giro per rintracciare infine la foto della carta d'identità. Nella quale un maresciallo della Guardia di Finanza, che si trovava proprio in via Morgagni al momento dell'aggressione, riconosce un vicino di casa. Davide R., infatti, abita in via Plinio, a meno di cento metri dal luogo dell'incidente.
Gli investigatori individuano la suocera, le fanno capire che il compagno della figlia l'ha fatta grossa, che è meglio per tutti se si costituisce. «Ci abbiamo sperato» ammette la polizia. Che sa chi è l'aggressore ma gli lascia il tempo di compiere il suo dovere. Poi le ore passano e gli agenti, alle 14.30 di ieri, lo bloccano per strada, insieme alla compagna. In casa ha ancora la confezione di bottiglie ammaccata con cui ha colpito il tassista. «Sono dispiaciuto» ammetterà più tardi Davide R. in questura. Una frase un po' riduttiva e di convenienza per un uomo, il tassista, ormai clinicamente morto.

di Cristiano Gatti

Ma cosa siamo diventati? L'evoluzione della specie umana sta chiaramente vivendo un nuovo passaggio. Muovendosi nell'habitat dell'era moderna - queste sterminate giungle di cemento e di acciaio -, l'homo sapiens si sta lentamente trasformando in homo schizzatus. Questo nuovo individuo è una creatura abitualmente mansueta, civile, istruita. La sera può decidere di uscire dalla sua abitazione e accompagnare la moglie a fare la spesa. Oppure è possibile trovarlo impegnato nel proprio lavoro, alla guida di un taxi. Abitudini antropologicamente anonime e insignificanti. Però in quest'ultima fase dell'evoluzione il soggetto mostra un'imprevedibile stranezza di comportamento. Come una fulminea propensione a finire fuori controllo. Può diventare molto aggressivo e molto pericoloso. Basta qualsiasi occasione, quando si aggira nella sua giungla moderna. Chi guida il taxi può inchiodare imprudente a un passo dalla coppia appena uscita dal supermercato, lei portatrice di una gravidanza avanzata, lui forse per questo ipersensibile ai rischi. Ma non è nemmeno il caso di approfondire troppo i motivi delle varie situazioni: in un attimo, l'homo schizzatus libera la belva nascosta in fondo al suo carattere e diventa potenzialmente assassino. Spesso, non solo potenzialmente. Basta proprio un niente: una spinta in più, una fatalità in più. Certo lo sanno tutti già da bambini che una banale caduta può trasformarsi in una tragedia, se si finisce contro lo spigolo sbagliato. Certe conseguenze vanno molto al di là delle intenzioni. In questo davvero ci gioca solo la maledizione della sfortuna. Ma il punto fondamentale, nell'evoluzione della specie, è un altro: in questa età recente dell'homo, risulta chiara l'incontrollabile predisposizione all'aggressività più stupida. Nel traffico, l'individuo cade in preda a una specie di ipnosi violenta, fase cruciale che lo vede totalmente fuori di sé, trasformato, alterato, sfigurato. Può lanciare la prima cosa che gli capita per le mani, siano bottiglie o siano i crick. Che ci scappi il morto è magari soltanto un caso: non è mai un caso che ci si ritrovi con le mani in faccia per i più futili motivi.

L'homo schizzatus così si giustifica: tutta colpa della vita nevrotica nella nuova giungla, questo luogo chiamato città. Ma scientificamente sembra molto più seria un'altra conclusione: la colpa è del non-luogo, pieno zeppo di non-valori, che ormai è la sua anima.

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