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La tecnocrazia fa male al voto. "L'astensione si cura solo con il fisco"

Dopo il voto in Lombardia e Lazio c'è persino chi, come il dirigente nazionale dem Goffredo Bettini, è "orgoglioso della tenuta Pd"

La tecnocrazia fa male al voto. "L'astensione si cura solo con il fisco"

«Sol chi non lascia eredità politica, poca gioia ha dell`urna», direbbe Ugo Foscolo. La sinistra dei Sepolcri imbiancati che ha governato 11 anni senza consensi blatera di vittoria mutilata per il centrodestra: Urne vuote, vince la Meloni è il comico titolo di Repubblica, che associa l`allarme «all`indifferenza» verso le Regioni, «avvertite come inessenziali» ma oggi cruciali nel dibattito sull`Autonomia. C`è persino chi come il dirigente nazionale dem Goffredo Bettini è «orgoglioso della tenuta Pd». Il Domani guarda la pagliuzza negli occhi del premier e non vede la trave su cui si è impiccato un Pd gender free, senza identità, su cui «è fallita l`Opa». Contenti loro...

L`astensionismo record davvero «mette in crisi la democrazia» come dice il sondaggista Roberto Weber? No perché è asimmetrico, come ammettono Lorenzo Pregliasco di Youtrend e Roberto D`Alimonte. A sinistra chi tradizionalmente si mobilita è rimasto a casa, rassegnato a un esito scontato. C`è un tripolarismo che mal si concilia con una società ormai polverizzata. «Interi settori non si riconoscono più nei partiti», è il ragionamento di Alessandro Campi, fatta eccezione forse per il fortino moderato di Forza Italia che ha difeso la soglia del 7%. Archiviate le appartenenze ideologiche, inattuati o stravolti i valori della Costituzione come il diritto al lavoro, c`è troppo disincanto perché la «bolla» M5s ha esaurito la sua spinta innovatrice, come sostiene su Avvenire il direttore del dipartimento di Scienze politiche della Cattolica di Milano Damiano Palano. Tanto che la grillina Roberta Lombardi ha vergato l`epitaffio: «Diventiamo un partito vero o rimarremo il partito dei like». Per non parlare dei cattolici, ormai in libera uscita anche dal Terzo Polo, verso cui secondo Massimiliano Panarari «l`astensionismo è stato particolarmente spiccato».

Comodo dare la colpa «all`assurda liturgia del voto su due giorni» come fa il sindaco di Milano Beppe Sala, complicato dire - come fa Gianfranco Pasquino - che per convincere l`astensionista cronico «servirebbe il voto online da casa. Farebbe risalire la partecipazione di 10-15 punti». Se è doveroso riportare gli elettori al voto, è grossolano ignorare i rischi di inquinamento del consenso legati alla social-democrazia usa e getta, a base di like e fake news, che già oggi titillano e manipolano gli italiani su istanze divisive o scomode, senza che ci sia un reale sentiment.

E se il problema invece fossero proprio i temi, soprattutto quelli economici? Silvio Berlusconi anche sui social non smette di parlare di «riforma del fisco, della giustizia, della lotta alla burocrazia». Anche Matteo Salvini se la prende con «la politica che si parla addosso, che campa di retroscena, che non parla a chi vive nelle periferie, dove il problema è lo stipendio, il mutuo, la pensione e la sicurezza». Secondo un recentissimo paper del think tank britannico Chatham House «non è più il populismo la minaccia alla democrazia europea, ma la diseguaglianza dei diritti innescata negli ultimi 40 anni dalle trasformazioni dell`Occidente».

«La politica si è "deresponsabilizzata" - si legge nel documento - a fronte dell`avanzare di tecnocrazia Ue, Bce e Europarlamento, che ha così guadagnato margini di policymaking» mentre la classe politica inseguiva «questioni culturali» come gender e ius soli, «incapaci da soli di correggere queste ineguaglianze». Per uscirne, dicono gli esperti inglesi, la politica deve riappropriarsi dei suoi margini di autonomia e di influenza nelle questioni fiscali.

Se poi l`Europa è quella delle auto green a tutti i costi e degli aiutini Pd al Qatar in cambio di mazzette forse gli inglesi non hanno tutti i torti.

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