Politica

«Un tetto alle tasse nella Costituzione»

RomaC’è l’emergenza mercati con cui fare i conti. La necessità di rispondere ai dubbi degli investitori con un impegno rigoroso sulla finanza pubblica, senza alcuna concessione al deficit facile. Un quadro che ha suggerito al governo di «inchiodare» gli impegni alla Costituzione, attraverso l’inserimento nella nostra carta del vincolo al pareggio di bilancio. Ma sullo sfondo c’è un’altra misura sulla quale si sta ragionando dentro il centrodestra e che potrebbe chiudere il cerchio contribuendo a cambiare nel profondo la cultura economica del nostro Paese.
L’idea è quella di abbinare al pareggio di bilancio un tetto alla pressione tributaria da inserire in Costituzione, prevedendo magari limitate eccezioni legate a situazioni straordinarie di emergenza. Nelle consultazioni che Silvio Berlusconi ha svolto prima della conferenza stampa di venerdì scorso con i suoi storici consiglieri, è stato Antonio Martino a suggerire al premier questa soluzione. Una proposta che l’economista messinese ha poi spiegato pubblicamente ieri in un editoriale sul quotidiano Il Tempo.
«La proposta di inserire in Costituzione l’obbligo del pareggio del bilancio è certamente lodevole - spiega Martino - ma le conseguenze prevedibili non necessariamente lo sono. Diciamo anzitutto che il terzo comma dell’articolo 81 della Costituzione - Ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte - è stato introdotto proprio per imporre il pareggio del bilancio come emerge chiarissimamente dagli atti dell’Assemblea Costituente. Sia Einaudi sia, ancora più esplicitamente, Vanoni, dissero che il loro scopo era quello di spingere a pareggiare il bilancio. Quel principio per quasi mezzo secolo è stato disatteso».
Martino, per spiegare la genesi dell’enorme fardello che grava sulle spalle degli italiani, ricorda che il disavanzo annuo pari all’1,3% nel 1960 prese a crescere rapidamente, alimentando la crescita del debito pubblico. Quest’ultimo, pari al 54% del Pil nel 1980, arrivò al 123% nel ’93. La chiave di tutto, insomma, sostiene Martino sta nel controllo della spesa pubblica. «Il pareggio è cosa buona se la spesa pubblica è ridotta ma se è ai livelli attuali (oltre il 51%) non lo è affatto. Il danno a noi privati non lo fa il modo in cui le spese sono finanziate, se con tasse o debiti, ma il suo ammontare. Se il settore pubblico si prende il 30% del reddito, a noi resta il 70%, se prende il 51%, come fa oggi, a noi resta il 49%. Per questo al principio del pareggio del bilancio dovrebbe essere abbinato un tetto alla pressione tributaria. Se lo Stato preleva il 35% del Pil e deve pareggiare il bilancio, non può spendere più del 35%». Una proposta che piace parecchio dentro il Pdl. «L’idea è buona, il principio del pareggio del bilancio non è positivo in sé ma dipende dal modo in cui viene declinato» spiega Guido Crosetto. Gli fa eco l’ex presidente della Compagnia delle Opere, ora parlamentare Pdl, Marcello Vignali. «La firmo qui e ora. È una buona idea.

Ma anche un modo per dare certezze alle imprese sulle quali la tassazione complessiva oggi è davvero soffocante».

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