La storia del rapporto tra la sinistra italiana e la patrimoniale è un ciclo che si ripete da oltre trent'anni: un bisogno di risorse straordinarie o la spinta ideologica per la "giustizia sociale" si traducono puntualmente in un attacco alla ricchezza privata. Ancora oggi, con il Comunismo sovietico archiviato e relegato alle pagine della storia, essere ricchi, o anche solo benestanti, viene considerato una colpa dalla sinistra in base a retaggi di un passato mai dimenticato e che si vorrebbe strappare dai libri per renderlo attuale. Nonostante le smentite di facciata, il prelievo sui beni e sui risparmi è una bandiera che i leader di quell'area politica non riescono mai ad ammainare, foss'anche solo per serrare le fila quando sono in difficoltà di consenso.
Nella mente degli italiani è ancora vivo il ricordo della notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, quando il governo di Giuliano Amato prelevò il 6 per mille dai conti correnti degli italiani con il "favore delle tenebre" per evitare il default del Paese. Un archetipo di una patrimoniale straordinaria, uno degli interventi più drastici nella storia fiscale recente italiana, un vero trauma per i risparmiatori che si svegliarono al mattino scoprendo che lo "Stato" aveva loro messo le mani in tasca con un prelievo forzoso non preannunciato. Non una vera patrimoniale, ma qualcosa che ci somigliava tremendamente e che aveva coinvolto tutti, sia i piccoli che i grandi risparmiatori. Fu un preludio a quanto, a partire dal 1995 e fino alla metà del 2000, Rifondazione Comunista con Fausto Bertinotti e i Verdi con Alfonso Pecoraro Scanio presentavano metodicamente: emendamenti e proposte di legge per l'introduzione di una patrimoniale ordinaria come linea politica stabile. Se la misura di Amato era stata un atto straordinario, la sinistra radicale e comunista voleva renderlo un caposaldo per motivi ideologici e programmatici. La tesi era che solo colpendo la ricchezza accumulata si potesse finanziare un welfare più generoso e contrastare le disuguaglianze, tutto ciò che anche oggi anima il dibattito delle opposizioni, pur senza il coraggio di dichiararsi comunisti.
Poi, con l'inizio della crisi del debito sovrano, il dibattito si è spostato dal prelievo straordinario alla "riforma" della tassazione sui patrimoni. È stato Pier Luigi Bersani che nel 2012, da segretario in carica del Pd, a riportare in auge il tema con l'introduzione di una tassa patrimoniale progressiva sui grandi patrimoni immobiliari. L'obiettivo dichiarato era quello di finanziare l'abolizione o la riduzione dell'IMU sulla prima casa ma l'effetto politico, e il risultato percepito, è stato quello di legittimare una nuova forma di tassazione sui beni accumulati. Allora ci ha riprovato Enrico Letta, proponendo di aumentare drasticamente le aliquote sulle imposte di successione e donazione per le grandi eredità. Venne considerata una patrimoniale "indiretta", votata però allo stesso scopo.
Per qualche anno la situazione "patrimoniale" tornò a silenziarsi, finché con il Covid la sinistra non è tornata a pensare che potesse essere una buona idea, ma anche un po' prima se si pensa che Nicola Fratoianni cerca di inserirla nell'agenda politica dal 2018, presentando ciclicamente emendamenti per una patrimoniale ordinaria e progressiva sui grandi patrimoni, proponendo soglie e aliquote specifiche. Giuseppe Conte ha sostenuto la causa dopo la pandemia, ipotizzando la necessità di una tassa sui super-ricchi, spesso legando la sua attuazione a un coordinamento a livello globale o europeo per evitare la fuga di capitali.
A questo coro si unisce con forza il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che ha più volte rilanciato l'idea di un contributo di solidarietà con aliquote progressive per finanziare sanità e scuola, rendendo il sindacato un attivo promotore della misura. E ora è arrivata Elly Schlein a teorizzarla nell'ambito di una visione di maggiore giustizia sociale, ribadendo l'apertura a questo strumento per la redistribuzione della ricchezza.