Tre anni di galera per una bugia Il codice penale è da stracciare

Ho quasi paura a scriverne. Una paura generica, vaga. Non sarà che poi succeda qualcosa di brutto anche a me? Ma la notizia bisogna pur darla, accompagnata da un rispettoso commentino: Renato Farina, indebitamente radiato dall'albo dei giornalisti per una storia di servizi segreti (da qualcuno in Italia equiparati alla mafia) è stato ieri condannato dal Tribunale di Milano a 2 anni e 8 mesi di reclusione, senza condizionale. Furto con scasso, rapina (...)

(...) a mano armata, bancarotta fraudolenta? Nossignori. Per questi reati, l'onorevole Farina (Pdl) se la sarebbe cavata con una pena inferiore, probabilmente.
In pratica, egli non ha fatto nulla di male. Nel senso che non ha recato danno ad alcuno, non c'è una parte lesa, non c'è una vittima, qualcuno che abbia sofferto. Al contrario, Renato (a volte furbissimo, altre ingenuo ai limiti della stupidità) ha cercato di agevolare, sul piano dei buoni sentimenti, una persona, anzi due, in grosse difficoltà psicologiche. La storia è questa. Il lettore è informato che Lele Mora trovasi in galera da circa un anno perché la sua azienda è saltata per aria, creando buchi contabili, debiti eccetera. Roba complicata. L'uomo, come sempre accade in questi casi, ha perso amici e autostima; in una parola, vive da cani. D'altronde, in cella come vuoi campare?
Farina, un cattolicone che ha le tasche piene di corone del rosario benedette e di immaginette della Madonna, ha deciso nello scorso febbraio di andarlo a trovare. È fatto così: quando non va in chiesa, va in prigione a consolare gli afflitti. Suppongo abbia messo piede in tutti i reclusori nazionali. Nei quali, essendo parlamentare della Repubblica, ha libero accesso nell'esercizio delle sue funzioni di controllo. Cosicché, un bel dì si è recato anche a Opera, dove «risiede» il detenuto Mora, ex gestore di una ditta specializzata nel piazzare dive, divette e aspiranti tali in programmi televisivi e affini. Ma invece di recarsi da solo, si è fatto accompagnare da un tale di vent'anni, amico, pare, di Lele. Lecito o no? Lo ignoro. Ma so che un deputato ha diritto di portarsi appresso un collaboratore. Fisso o avventizio? Altro mistero. È un fatto che il ventenne di cui sopra, a posteriori, non è stato giudicato idoneo al ruolo di collaboratore. Perché? Lo scopriremo quando leggeremo la sentenza.
Sia come sia, Farina, per aver detto che l'accompagnatore era un proprio aiutante, è stato denunciato per falso in atto pubblico. E qui comincia la grana. La denuncia si trasforma in inchiesta, quindi in processo, che si è celebrato ieri mattina con l'esito drammatico riferito: 2 anni e 8 mesi di reclusione. Sicuramente i giudici hanno applicato la legge. Ma se gli effetti prodotti dal codice sono questi, o c'è qualcosa che non va nel codice o c'è qualcosa che non va in chi lo ha interpretato. Non lo dico perché sono amico di vecchia data del condannato: la realtà è che una pena simile per un reato (reatino) come quello attribuito a Farina grida vendetta al cospetto di Dio, nel quale Renato si ostina ad avere fede.
Mah! Affari suoi. Affari di tutti invece che una vicenda tanto marginale si sia conclusa con un castigo degno di un criminale incallito, non di un omone placido reo di aver condotto con sé un ragazzo al colloquio - legittimo - con un poveraccio dietro le sbarre da tempo, benché non sia ancora stato processato. Siamo di fronte - da un punto di vista almeno umano - a una pena incongrua per eccesso, emessa con una rapidità insolita per la giustizia di casa nostra: cinque mesi soltanto sono trascorsi dal reato al giudizio di primo grado. Un record in un Paese nel quale domina la prescrizione per decadenza termini.
Come mai per Farina il Tribunale ha acceso il turbo? La domanda meriterebbe una risposta che, però, non avremo. Pertanto, rimarremo con il dubbio che per lui sia stata percorsa una corsia preferenziale di cui non sospettavamo l'esistenza. Motivo? Non ne ho idea. O meglio, ne avrei una ma non oso manifestarla per codardia, per piaggeria nei confronti della magistratura di cui ho terrore.
Mi auguro che le toghe dell'appello siano più miti e valutino con maggiore clemenza sia il reato (se di reato si tratta) sia la personalità di chi lo ha commesso.

segue a pagina 9

Villa a pagina 9

di Vittorio Feltri

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