Truffa sull'Imu, ultimo sfregio agli italiani

RomaLe tasse c'è chi le impone, chi le paga, chi le evade e chi le ruba. Prendi l'Imu (già Ici), l'imposta che - come Usain Bolt nella velocità - ha resettato ogni record di impopolarità fiscale. E alla quale, a quanto ha riferito ieri al Parlamento il ministro dell'Economia Vittorio Grilli, dovremo anche rassegnarci: «Riaprire l'impostazione dell'Imu non è nella nostra agenda», ha detto sconsolato Grilli Parlante. Prendi l'Imu, insomma: quando paghi questa imposta odiosa vissuta come una patrimoniale surrettizia, l'unica consolazione è sapere che almeno contribuisci a finanziare i servizi pubblici della tua città. Poi scopri che i tuoi soldi finiscono non nelle casse del Comune per gli scuolabus o la manutenzione dei semafori ma nelle saccocce di un oscuro signore che, come un qualsiasi Fiorito della riscossione, li spende per cene, feste e yacht, e ti ritrovi a pensare che sei stato derubato due volte. Rabbia e doppia rabbia.
Sono 400 i comuni italiani che si erano affidati per la riscossione dei tributi (l'Ici ma anche la Tarsu) alla Tributi Italia SpA, società che, malgrado il nome vagamente istituzionale, è una semplice concessionaria privata; sede legale a Roma, sede operativa a Chiavari (Genova). Quattrocento amministrazioni ora sull'orlo della bancarotta a causa del mancato incasso dei tributi locali, che la Spa ligure ha fatto sparire. Cento i milioni sottratti, almeno venti dei quali sarebbero finiti nelle tasche di Giuseppe Saggese, 52 anni, di Rapallo, amministratore di Tributi Italia, finito in galera nel corso di un'operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Genova su ordine del gip di Chiavari, Fabrizio Garofalo. Per Saggese le accuse sono peculato, dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate e omesso versamento Iva. Con Saggese sono stati denunciate altre otto persone, quattro con obbligo di dimora e quattro a piede libero.
La Tributi Italia dal 2006 al 2009 ha riscosso a tutto spiano in ogni regione italiana. I soldi erano drenati attraverso l'utilizzo di società collegate coinvolte in oscuri aumenti di capitale o in ristrutturazioni aziendali, e finivano con continui prelievi bancari (fino a 10mila euro al giorno) nelle tasche di Saggese. Che finanziava così la sua bella vita. Naturalmente il gioco era fruttuoso ma destinato a durare poco. Presto sono arrivate denunce da parte dei comuni rimasti a secco, revoche delle concessioni, quindi lo stato di insolvenza della società, il licenziamento o la cassa integrazione per i mille dipendenti e nel 2010 il fallimento dichiarato dal Tribunale di Roma e l'affidamento della gestione al commissario Luca Voglino.
L'amara vicenda riapre la polemica sull'opportunità di affidare ai privati la riscossione dei tributi o quanto meno sull'opacità della pratica di far transitare i nostri soldi sui conti delle concessionarie. E rende ancora più nero l'umore degli italiani onesti, che ieri hanno scoperto dall'audizione del presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino alla commissione Finanze del Senato che l'evasione fiscale ci costa ogni anno almeno 90 miliardi, 46 per il minor gettito stimato di Iva e Irap e più o meno altrettante per Irpef, Ires e altre imposte su affari e contributi previdenziali. Numeri che fanno dell'Italia il terzo Paese dell'area Ocse per evasione fiscale dietro Turchia e Messico. Basti pensare che se dal 1970 l'evasione fosse stata sui livelli di quella statunitense, minore di 3 punti percentuali, il debito pubblico nel 1990 sarebbe stato pari al 76 per cento del Pil invece del 108 e ci sarebbero stati negli ultimi vent'anni meno lacrime e meno sangue. «Il recupero di quote crescenti di evasione rappresenta una delle condizioni per il riequilibrio della finanza pubblica, per il contenimento delle sperequazioni e per l'avvio della ripresa economica»; risultato per il quale per, nota Giampaolino, servono «un'elevata sensibilità politica e un ampio consenso sociale».
Secondo il presidente della Corte dei Conti l'evasione è più agevole per le grandi società, che beneficiano di «una struttura organizzativa complessa e organismi di controllo interno ed esterno» che favoriscono «pratiche evasive più sofisticate, non di rado confinanti con l'elusione fiscale».

È invece l'Eures nel suo terzo rapporto sull'evasione a fare la lista dei cattivi nelle varie categorie: il record nelle ripetizioni private (89 per cento di nero) e in genere nelle prestazioni casalinghe come colf, babysitter e badanti (60 per cento), ma l'evasione impera anche nelle libere professioni (40 per cento, con il record negativo degli avvocati) e nella ristorazione.

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