
Carlo Calenda: uno, nessuno, centomila. Personaggio bulimico di visibilità, di post e di polemiche. Tanto iperattivo quanto inconcludente, dà sempre l’impressione di lasciare le cose a metà. Mette su iniziative, si iscrive a partiti, ne fonda di nuovi, crea alleanze e liste elettorali. Ma dura tutto lo spazio di un mattino. Si stanca presto, ci ripensa, rompe con gli amici del giorno prima, litiga con tutti, probabilmente anche con se stesso. Ma quanti Calenda ci sono? Le sue personalità si moltiplicano in un caleidoscopio pirandelliano. Abbiamo visto il golden boy di Confindustria, il candidato (trombato) con Mario Monti, il tesserato Pd (tessera poi stracciata), il renziano (ma anche l’antirenziano), persino il diplomatico (spedito a Bruxelles a fare il Rappresentante presso l’Ue dall’amico-nemico fiorentino, ma l’esperienza durò poco e non gli piacque).
Si tratta ovviamente di una lista per difetto. Insomma, di volta in volta si innamora di tutto e del suo contrario. Ieri il piatto di giornata ci ha offerto un duro oppositore del governo Meloni, che tuttavia invita la premier come guest star al congresso di Azione e la omaggia con un tale trasporto da far ipotizzare che aspiri al ruolo di ministro (o magari di sindaco di qualche città). Ma il personaggio, si è capito, è umorale e sensibile alle critiche. Al meeting di Rimini, per esempio, era in versione antigovernativa per cui ha preso carta e penna e ha dettato parole di fuoco alle agenzie per attaccare il capo del governo, peraltro applauditissima dalla platea ciellina.
«Meloni parla come fosse a Palazzo Chigi da ieri», ha tuonato Calenda, «bisogna fare le cose e smettere di parlare». Quali cose? Quelle proposte da lui ovviamente, che ha inviato al Governo «un piano dettagliato e pronto per essere messo in un decreto». Eppure, l’occasione per «fare le cose» lui l’ha avuta, visto che ha ricoperto il ruolo di ministro dello Sviluppo Economico nel governo Renzi. Che cosa ha combinato quando le cose, appunto, le poteva fare? Il ricordo lasciato non è esaltante: il buco nero Ilva, la discussa creazione della perenne malata Open Fiber, il disastro Alitalia, Almaviva, Mercatone Uno, Blutec, eccetera. Non pago di tanta inefficienza, a tratti minaccia: «Se la politica è questa, allora torno a fare il manager». A dire la verità anche quella del Calenda manager prestato per amor di patria alla politica pare un po' una esagerazione. I suoi ruoli nel settore privato (Ferrari, Interporto Campano) sono praticamente tutti ascrivibili alla sfera di influenza del suo mentore Montezemolo. Non è che le grandi aziende se lo siano mai litigato per la verità, né vi è evidenza che dov’è stato lo rimpiangano terribilmente. I piani di Calenda sono quelli inclinati.
Del resto, tra i tanti ruoli ricoperti in carriera vi è anche quello dell’attore bambino nello sceneggiato “Cuore“, diretto dal nonno Luigi Comencini. In fondo il leader di Azione è rimasto questo: un attore alla disperata ricerca di una parte in commedia.