La verità di Spinelli e Ghedini: «Mai pagato alcun riscatto»

MilanoUna volta di più nella sua vita, è Giuseppe Spinelli a togliere d'impiccio Silvio Berlusconi. A ventiquattr'ore dall'arresto dei suoi rapitori, e mentre sui giornali impazzano ipotesi di ogni tipo sulla reale natura della vicenda, il ragioniere di fiducia del Cavaliere prende su di sé la responsabilità di chiarire uno dei punti apparentemente più spinosi: il «buco» di trentuno ore che passano tra la fine del sequestro e il momento in cui parte la denuncia alla Procura. Un «buco» durante il quale poteva essere accaduto di tutto: trattative, accordi, pagamenti, consegne di materiale.
Invece Spinelli dal suo rifugio segreto ieri rivela: sono stato io a tenere nascosta la verità per un giorno intero. Anche se alla fine i rapitori se n'erano andati, continuavo ad avere paura. «Debbo precisare che il mio ritardo nel riferire al presidente Berlusconi e all'avvocato Ghedini come si erano svolti effettivamente i fatti è dovuto unicamente al forte timore di gravi ritorsioni nei confronti dei miei familiari».
In questa forma, la versione di Spinelli collima alla virgola con quella, che in una lunga nota, diffonde l'avvocato Ghedini per smentire «ricostruzioni e commenti che oscillano fra il risibile e l'assurdo». È la prima volta che dall'entourage di Berlusconi viene fornita una ricostruzione precisa della vicenda. «Nella prima mattina del martedì 16 ottobre, verso le 8.30, Spinelli chiamava al telefono il Presidente Berlusconi, narrandogli non del sequestro in corso ma di essere stato avvicinato da alcune persone inviate da uno studio legale: queste persone volevano fornire del materiale definito risolutivo per la causa Cir-Fininvest e per questo richiedevano 35 milioni di euro. Spinelli forniva una serie di particolari tesi a dare maggiore credibilità alla documentazione, insistendo affinché il presidente Berlusconi autorizzasse il pagamento».
Berlusconi però trova la richiesta «del tutto inaccettabile» e «anche anomala». Insomma, si insospettisce: «Ti faccio chiamare da Ghedini», dice a Spinelli. All'avvocato, il ragioniere spiega nei dettagli cosa conterrebbe la documentazione in mando alla banda. «Dopo aver valutato il contenuto della presunta documentazione e, in particolare, ritenendo del tutto inverosimile il ruolo attribuito al presidente Fini richiamai il presidente Berlusconi, dicendogli che a mio parere, lo Spinelli si trovava non in una situazione normale, ma in una situazione di costrizione. Il presidente Berlusconi mi consigliò allora di avvertire i carabinieri qualora avessi ritenuto che vi fosse una reale situazione di pericolo per Spinelli».
A quel punto i rapitori se ne vanno da casa Spinelli. A mezzogiorno, Spinelli va ad Arcore dove incontra Ghedini, arrivato nel frattempo da Padova: ma non gli racconta di essere stato preso in ostaggio «limitandosi a dire che le persone con cui aveva parlato erano state molto insistenti, addirittura pressanti. Aggiunse che, a suo parere, si potevano avere i documenti versando una prima “tranche” di 5 milioni di euro». Solo l'indomani, facendo visita a Berlusconi, il ragioniere racconta cosa è accaduto davvero. «A questo punto il presidente Berlusconi mi avvisava telefonicamente e mi chiedeva di contattare subito la Procura di Milano». Ma Spinelli chiede ancora tempo, vuole consultarsi con la moglie. A fargli rompere gli indugi è la nuova telefonata di minacce che gli arriva sul telefono di casa.

Scatta l'operazione per metterlo al sicuro, mentre Ghedini telefona in Procura: «Avvisai immediatamente il dottor Bruti Liberati al quale, dopo pochi minuti, inviai un fax di denuncia. Preciso che nessuna somma di denaro è mai stata pagata a chicchessia né vi è stata alcuna trattativa con i sequestratori».

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