Roma - Per ora, parlarne è vietato. «Non c'è nulla di nulla», giurano dalle parti di Palazzo Chigi. Ci manca solo la chimera di un rimpasto di governo (formula antica che sa tanto di Prima Repubblica) per eccitare gli animi e intorbidire ulteriormente le acque, mentre si sta annaspando faticosamente per mettere insieme una legge di Stabilità, farla votare da una maggioranza ballerina e superare senza traumi eccessivi la deadline della decadenza di Silvio Berlusconi.
Ma poi, assicurano dalle parti del premier, alla squadra di governo bisognerà per forza mettere mano: «Dopo il voto sul Cavaliere, e portata a casa la legge di Stabilità, quando il quadro sarà assestato». Anche perché, dicono i lettiani, «sarà lo stesso Angelino Alfano a rendere necessario un rimpasto: sta pensando seriamente di lasciare il Viminale e dedicarsi al nuovo partito che dovrebbe fondare, se no glielo sfilano sotto il naso».
Peccato che, proprio mentre il premier tenta di realizzare un passo dietro l'altro il percorso, proprio Alfano glielo stia complicando, inalberandosi contro l'idea del voto di fiducia per accelerare il varo della legge di Stabilità e insistendo sul rinvio sul Cavaliere. «In realtà, è tutto il prossimo futuro di questo governo a dipendere dalle scelte che deve fare Alfano, - osserva il senatore Pd Giorgio Tonini - un conto è se Letta da domani potrà dire che la maggioranza, pur difficile, è però più omogenea, e il suo è il governo che può fare le cose che annuncia. Ma se Alfano non si stacca da Berlusconi, e anzi fa il Brunetta per non farsi scavalcare da Brunetta, lo stato confusionale del governo è assicurato».
Resta il fatto che un riequilibrio della maggioranza si renderà presto necessario, e che il futuro segretario del Pd, Matteo Renzi, non mancherà di reclamare un po' di chiarezza dalle parti del governo, oltre a dettargli l'agenda. Non che Renzi sia interessato al rimpasto, o che voglia piazzare suoi uomini nell'esecutivo (dove al momento di renziano c'è il solo ministro Graziano Delrio): servirebbe solo a fargli perdere la libertà di attaccarlo quando vuole, e di tenerlo sotto pressione. Però sa che anche solo parlarne mette in fibrillazione la maggioranza.
I pesi e contrappesi dei partiti nel governo sono saltati per aria, con la scomposizione dei partiti: ora gli alfaniani si ritrovano con cinque poltrone ministeriali più il vicepremier, e solo una sessantina di parlamentari; gli scissionisti post Dc di Scelta civica hanno due ministri importanti con appena 30 parlamentari, mentre il Pd resta sottodimensionato, nove ministri e 400 eletti. E gli appetiti non mancano: c'è il segretario Guglielmo Epifani, che ha già rinunciato una volta alle aspirazioni ministeriali per caricarsi sulle spalle un Pd allo sbando, e che ora vorrebbe tornarci sopra. Ci sono Roberta Pinotti, ora sottosegretario, e Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa, che apprezzerebbero il ministero oggi di Mario Mauro.
E poi c'è sempre il caso del Guardasigilli Annamaria Cancellieri, per ora riconfermata. Ma le sue dimissioni secondo molti, nel Pd ma anche nel governo, sono solo rinviate.
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