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"Vi svelo come è nata la crisi tra Italia e Vaticano"

L'ex direttore del TG2 racconta la crisi del rapporto fra Stato e Chiesa nel suo ultimo saggio Lo Stivale e il Cupolone. Italia - Vaticano una coppia in crisi edito da Il Timone

"Vi svelo come è nata la crisi tra Italia e Vaticano"

"Quella tra Stivale e Cupolone è davvero, oggi, una coppia in crisi. La separazione - più giudiziale che consensuale - è un dato di fatto. Con l’aggravante della necessità - o costrizione - di dover convivere comunque sotto lo stesso tetto. La crisi italiana si specchia in quella di tutta Europa, ormai priva d’identità morale, culturale e religiosa; povera di rappresentatività democratica; succube dei poteri economici e finanziari; nelle mani di una tecnocrazia che pretende d’indicare la rotta e di scrivere il futuro". È l’analisi di Mauro Mazza, giornalista ed ex direttore del TG2, riportata nel suo ultimo saggio Lo Stivale e il Cupolone. Italia - Vaticano una coppia in crisi edito dalla rivista Il Timone, libro che in 239 pagine esplora - e ricostruisce, con retroscena e dovizia di particolari - il complesso e sfaccettato rapporto tra Vaticano e Stato italiano. Lo abbiamo raggiunto per porgli qualche domanda sul suo ultimo, importante, lavoro.

Caro direttore, partirei subito dalla tesi centrale di questo saggio, cioè la crisi profonda tra Italia e Vaticano. Un rapporto che è sopravvissuto a grandi tensioni, ma negli ultimi 20 anni sembra essere entrato in una crisi morale e politica che sembra quasi irreversibile. Cos’è successo?

È venuta meno da alcuni decenni quella che Papa Wojtyła chiamava l’eccezione italiana. Come se l’Italia, forte della sua tradizione, del suo aver ospitato il cuore della Chiesa, per 20 secoli, potesse essere immune all’egemonia del relativismo etico. Invece, negli ultimi decenni c’è stata esattamente quest’omologazione. L’Italia ha rinunciato a una parte importante, essenziale per la sua identità. Cultura, civiltà, bellezza, quello che ha fatto dell’Italia l’Italia. Il risultato è uno smarrimento che è sotto gli occhi di tutti.

Un passaggio molto significativo è quando lei scrive che, ancor più che altrove, l’Italia pare essere dominata da un pensiero unico assoluto e indiscutibile, da un potere intollerante gestito da sedicenti tolleranti. A che cosa si riferisce, di preciso?

Sono i nipoti e pronipoti dell’illuminismo, di Voltaire, della Rivoluzione francese. Perché dietro quei principi immortali di uguaglianza, libertà e fratellanza, si sono commessi tanti delitti. Oggi questi sedicenti tolleranti danno prova di intolleranza quotidianamente. Basta riflettere sull’aborto come diritto, com'è stato fatto in America dalla Corte Suprema, per scatenare un putiferio o accennare all’impossibilità di omologare, ovvero di trasformare in famiglia, delle unioni tra persone dello stesso sesso. Coppie legittime, per carità, ma si pretende che siano omologate alla famiglia, che è soltanto una ed è formata da uomo e donna. E questo non è cattolicesimo, è diritto naturale. È legge inscritta nell’animo di ciascun essere umano.
Cioè?

Per essere aggrediti e messi ai margini è sufficiente fare dei ragionamenti di buon senso. E questo è un sistema d’intolleranza da parte dei sedicenti tolleranti. È la violenza dei non violenti. È come se avesse vinto, in Italia, il radicalismo pannelliano. Si è imposto un pensiero unico e che si declina in modi diversi.

Un’ondata di politically correct che proviene dagli Stati Uniti e dal mondo anglosassone e che noi stiamo importando, non trova?

Attribuisco al ’68 di essere stato la fucina di due distinte strade. La prima è quella che è poi sfociata nel terrorismo, la versione estrema della rivoluzione politica, che si affermava con la violenza. L’altra è quella della rivoluzione all’interno del soggetto, dell’essere umano: e quindi divorzio breve, aborto facile, pillola del giorno dopo, commercio dei feti, utero in affitto, suicidio assistito, tutti i passaggi rivoluzionari che partono dal filone femminista e anarco-individualista del '68. Oggi questa rivoluzione estrema potrebbe condurre fino al post-umanesimo, cioè al passaggio in cui l’intelligenza artificiale prenderà il posto di quella umana. L’uomo creatura diventerebbe l’uomo creatore che si autocondanna al suicidio.

È il dominio della Tecnica.

Esattamente. Che è stata creata dall’uomo ma l’uomo, che è essere pensante e intelligente, riconoscerà un giorno di aver creato qualcosa che gli è "superiore" e quindi gli cederà il posto.

Un altro passaggio significativo è quando lei sottolinea che l’Unione europea è succube dei poteri economici e finanziari, finita nelle mani di una tecnocrazia che pretende d’indicare la rotta e di scrivere il futuro. La guerra in Ucraina ha messo a nudo questa pochezza.

È la tecnocrazia che si è fatta tecnocoscienza. È diventata un potere forte dinanzi al quale l’uomo, che ha rinunciato alla sua componente spirituale, è succube e costretto all’obbedienza. Forse è il potere forte per eccellenza, la tecnocoscienza, che ha dominato anche durante l’emergenza della pandemia, senza che nessun altro potere avesse la forza di fare qualcosa. La politica e la stessa religione hanno ceduto: quando si sono chiuse le chiese e si sono impedite le estreme unzioni e i funerali, è come se si fosse abdicato alle pretese della “dittatura scientifica”, in forme anche estreme.

Nel saggio parla di una peculiarità tutta italiana, rappresentata dalla Democrazia Cristiana. Il rapporto con il Vaticano, però, non è sempre stato così idilliaco...

Sì, ma c’è un però. Il Vaticano fu costretto nel dopoguerra a scegliere di sostenere e appoggiare la Dc in funzione anticomunista per evitare il rischio che l'Italia fosse conquistata elettoralmente da una sinistra legata all’Urss di Stalin. Questa scelta obbligata di Pio XII con De Gasperi ha in qualche modo relativizzato la Chiesa in Italia.

Si spieghi meglio.

Mentre nel secolo precedente, dopo la Breccia di Porta Pia, il Papa disse Non Expedit e la Chiesa rimase comunque radicata nella stragrande maggioranza del popolo italiano, nell'Italia democratica del Dopoguerra l’appoggiare in maniera quasi esclusiva la Dc ha in qualche modo fatto deii cattolici una maggioranza relativa. La Chiesa si è “partitizzata” e questa le ha impedito di continuare a rappresentare tutti gli italiani, o quasi.

Parliamo un po’ dell’ultima fase della Prima Repubblica, è lì che comincia la crisi?

Il Caso Moro è l’inizio della fine della Prima Repubblica. È il punto di maggiore vicinanza tra i vertici della Chiesa e della politica italiana. Ma la morte di Aldo Moro e quella di Paolo VI da lì a tre mesi, segnano l’inizio della fine, poi sancita da Tangentopoli, referendum elettorali e quant’altro.

Con la scomparsa di Giovanni Paolo II e la nomina di Benedetto XVI, lei sostiene che in quella fase esplose la rabbia degli anticattolici che Wojtyla aveva saputo in qualche modo contenere.

Per più di un quarto di secolo, dal 1978 al 2005, questo Pontificato con la prorompente personalità di Giovanni Paolo II, ha quasi costretto gli avversari a farsi un po' da parte. Ma questi "nemici" sono poi passati all'attacco con l’elezione di Papa Ratzinger. Mai, nella storia della Chiesa, c’è stata tanta virulenza nei confronti di un Pontefice. Mai, però, come in quegli anni, la Chiesa ha sofferto una crisi così profonda al suo interno da costringere il Papa alle dimissioni clamorose nel 2013.

Dinanzi a questo scenario poco incoraggiante, quale dovrebbe essere la risposta della Chiesa e dei fedeli?

Il Vaticano deve chiarire al suo interno cosa fare. È ancora diviso da spinte contrapposte. Nel libro sostengo che esiste una cultura laica e liverale che si rende perfettamente conto di quanti danni abbia prodotto, in tutto l'occidente, la rinuncia alla religione, alla spiritualità, alla moralità, all’etica. Dopo aver calpestato il diritto naturale, non solo la religione, la migliore cultura laica si rende contro che è necessario un supplemento d’anima. Si è convinta che soltanto il dialogo con la religione può restituire a tutti una speranza. Sarebbe davvero interessante e proficuo, un dialogo tra la cultura cattolica e quella liberale, nel nome di quel "bene comune" che dovrebbe stare a cuore a chiunque. Se questa diventa la bussola, il dialogo e il confronto possono dare grandi frutti.

Occorrono, naturalmente, uomini di buona volontà che perseguano questo comune obiettivo.

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