Vuole morire per la playstation Come sono fragili i nostri figli

Tredicenne si getta dal balcone perché papà gli rompe il videogioco. Colpa di una vita virtuale che li rende indifesi davanti agli ostacoli

Vuole morire per la playstation Come sono fragili i nostri figli

D'altra parte ci sono psicologi che parlano molto chiaro: perdere i soldatini da bambini o perdere la play-station a dodici anni è come perdere il posto di lavoro da adulti. Se è così, il gesto si spiega con raggelante semplicità: il ragazzino di Bergamo, quartiere semiperiferico della Celadina, si vede distrutto dal papà imbufalito il proprio mondo - la play-station - e senza più nessun mondo a trattenerlo decide di volare dal quarto piano di casa.

Dodici metri di caduta, molte fratture agli arti (preoccupa un braccio), milza asportata, ricovero in terapia intensiva: è questo il sabato pomeriggio di Nicola - doveroso nome di fantasia -, per fortuna e per grazia del destino senza il finale previsto. Nicola ce la farà, Nicola dovrà continuare il difficile mestiere di crescere. Controvoglia, con una miriade di cocci da rimettere insieme. Ma in qualche modo dovrà riuscirci. Al suo fianco, come dubitarne, assieme alla mamma ci sarà per primo proprio l'uomo che sabato gli è sembrato il più odioso dei nemici, il più insopportabile degli individui, talmente folle da distruggergli la play-station solo perché a scuola non gira tanto bene: suo padre. Sì, lo stesso padre che da giorni, là fuori dalla stanza, nella corsia del nuovo ospedale-astronave della città, si sente porre domande dagli altri, si pone domande lui per primo, in modo martellante, ma senza la minima possibilità di trovare risposte.

Come trovare risposte, padre, quando la tua creatura si butta dalla finestra per una play-station? Non può essere che quel gioco sia tutto il suo mondo. Non può essere, non è possibile. Però è così. E non sarà facile ripartire da capo, costruendone uno nuovo, più solido e più bello, più sereno e più completo. Servirà tanto tempo, servirà tanta comprensione. Ma per Nicola, figlio unico e carattere introverso, sarà la prima, vera, reale partita da vincere. In premio l'armonia.
Ovviamente adesso è meglio che ci mettiamo tutti un po' più calmi: ogni giorno, in ogni luogo d'Italia, milioni di ragazzini giocano più o meno compulsivamente alla play-station. Eppure non risultano suicidi di massa. Play-station e volo dalla finestra non è un'equazione. Più realistica e più seria, purtroppo, è un'altra proporzione: tanto si sta al video, meno si parla, si legge, si curiosa, si pensa. Questa sì è una legge fisica. Più si consegna la testa al videogioco, meno si apre la testa al mondo di fuori.

Si è fatto persino stucchevole, nel progredire degli anni, questo dibattito su vizi e virtù del videogioco. L'hanno capito anche i sassi che non è satanico, ma che va assunto in dosi equilibrate. Meglio omeopatiche. Ma si sa pure che spesso l'utilizzo di questi surrogati in famiglia non è una lucida scelta: spesso è routine, spesso monta a poco a poco, spesso maschera qualche problema o riempie qualche vuoto. La play-station non è il male assoluto. E soprattutto la play-station ossessiva non è sempre causa: più spesso è solo un effetto.

Nessuno può dire quale sia la situazione in quella casa di Bergamo, definita «normale». É comunque idiota tirare conclusioni bibliche su un fatto tanto particolare e tanto delicato. Molto meglio generalizzare su un fenomeno ormai evidente e conclamato: i nostri ragazzini sono ipertecnologici, hanno invidiabili abilità, magari non accusano neppure tabù e inibizioni, ma sono terribilmente, insanabilmente fragili di fronte agli ostacoli, alle contrarietà, ai banali accidenti della vita. Questo lo possiamo dire, salvando le debite eccezioni, che difatti non sono eccezionali mica per niente. Se poi la colpa di questa fragilità nuova e particolare, che si aggiunge alle fragilità fisiologiche dei passaggi da un'età all'altra, vada addebitata alla solitudine e all'isolamento dei moderni modi di giocare e di esprimersi, questo non è dimostrato.

Il risultato però è preoccupante. I problemi della vita non si superano schiacciando un pulsante: tanti nostri ragazzini, senza pulsanti da schiacciare, purtroppo non sanno che fare. Sono atomi smarriti nella complessità dell'universo.

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