Il whisky migliore? Giapponese Per bere la lingua non conta più

Il mercato alcolico è un affare talmente globalizzato da tradire ogni geografia. Senza per forza perdere di qualità. Anzi...

Il whisky migliore? Giapponese Per bere la lingua non conta più

Scozia, Irlanda, Stati Uniti? Whisky, whiskey o bourbon? Macché: Nikka! Il whisky più pregiato al mondo arriva dal Giappone, dove la purezza dei corsi d'acqua, il clima e l'utilizzo di botti tipiche locali creano un distillato lievemente piccante, intenso, delicato, ispirato allo stile scozzese - da dove arriva l'orzo maltato - ma con un minore apporto di torba, ciò che lo rende poco fenolico e più morbido. E infatti gli intenditori di tutto il mondo stanno iniziando ad apprezzare questi whisky particolari e spesso molto costosi. Per dire, lo Yamazki 50 years-old, prodotto dalla Suntory Holdings ltd, arriva a costare 13mila euro a bottiglia. Ma non state a preoccuparvi di procurarvene una per il dopo-cena di stasera: ce ne sono solo 150 in giro per il mondo e probabilmente sono state già scolate o giacciono nel caveau di qualche oligarca russo.

Il fatto è che il bere alcolico è affare talmente globalizzato da avere tradito ogni geografia, soprattutto in quei prodotti che non sono vincolati da un disciplinare rigido o da condizioni climatiche precise. Prendete il vino: un tempo era roba da francesi, italiani, al massimo spagnoli e portoghesi. Poi sono arrivate etichette anche pregiate dal Sudafrica, dall'Argentina, dal Cile, dagli Stati Uniti, dall'Australia, dalla Nuova Zelanda, dal Libano.

E ora perfino dalla Cina, Paese che sta scoprendo che tra i piaceri dell'occidentalizzazione non è tra gli ultimi quello di degustare con lentezza un rosso pregiato. Di importazione, ma anche di produzione propria. E non pensate solo a imitazioni, a blunelli e boldò. Nella regione montuosa e arida del Ningxia, qualche centinaia di km a ovest di Pechino, il governo locale ha irrigato le distese desertiche favorendo la coltivazioni di uve internazionali come il Merlot. Ora, si sa che i vini migliori nascono da territori stressati e difficili.

E così dalla regione ai confini della Mongolia sono uscite bottiglie sorprendenti. Ma sorprendenti davvero. Al punto che in una recente degustazione condotta da un panel di esperti francesi e cinesi su cinque vini cinesi e altrettanti bordolesi, i primi quattro posti sono stati occupati dagli asiatici, che peraltro costano anche molto meno dei blasonati colleghi europei. Si dice che tra vent'anni la Cina sarà il più grande consumatore di vino al mondo, ma non è detto che per i produttori tradizionali questo significhi necessariamente un boom dell'export.

Altra bevanda alcolica, altra sorpresa. La vodka che va più di moda non è russa, polacca o finlandese, bensì francese. Si chiama Grey Goose e nasce da un'idea di un miliardario Usa che voleva sfruttare il blasone francese (enfatizzato da una bandierina tricoleur sulla bottiglia satinata) per creare una vodka di lusso. Non a caso è prodotta a Cognac con grano d'inverno coltivato nella Beauce, filtrata attraverso i calcari di Champagne e diluita all'acqua di fonte di Gensac-la-Pallue. Oggi il marchio appartiene al gruppo Bacardi. Peraltro anche l'Italia si affaccia nel mercato della vodka con la Sernova delle distillerie Fratelli Branca (quelle del Fernet) e la Uvix di Moletto, che stanno incontrando successo in tutto il mondo.

E le birre? Ogni Paese ha la sua etichetta e il suo stile birrario, anche se poi il consumatore medio va con il pensiero sempre alla Germania, all'Olanda, al Belgio, alle rosse e dense irlandesi, alle Ales inglesi, alle Pils ceche.

Negli ultimi anni tra le birre da export ci sono anche molti marchi italiani: non solo la Peroni che spopola come birra very young in tutto il mondo, ma anche con i birrifici artigianali capaci di donare alle bottiglie il glam e la varietà del vino italiano.

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