Woodcock, il pm che indaga pure Panama

Da Lavitola alla Lega fino al Centro America: la toga di Napoli ormai ha messo sotto accusa mezzo mondo

Woodcock, il pm che indaga pure Panama

La storia e la geografia gli stanno strette. Come capitava al suo illustre collega spagnolo Baltasar Garzon, che aveva provato perfino a riaprire i sepolcri della guerra civile e aveva inseguito l’ex dittatore cileno Augusto Pinochet, prima di rimanere impigliato nelle proprie inchieste. L’anglonapoletano John Henry Woodcock invece è in piena attività, peggio di un vulcano islandese. Due settimane fa perquisiva a tempo record la sede della Lega in via Bellerio. Ora mette in crisi il governo di Panama e scava un canale che rischia di essere più profondo di quello per cui il Paese centroamericano è famoso in tutto il mondo. Woodcock punta il dito contro il presidente Ricardo Martinelli e alcuni suoi ministri, coinvolti, come scrive il gip di Napoli «nel mercimonio» legato alla costruzione di nuove carceri.
Woodcock è così: nei suoi fascicoli scorre il mondo che conta. Una volta si limitava a circoscrivere il proprio naso agli affari italiani, ora ha preso a consultare il mappamondo. Intendiamoci: un’intercettazione può portare molto lontano e lui sin dai tempi in cui era a Potenza ha sempre captato conversazioni in grado di terremotare le prime pagine dei giornali. Ci sono, per ragioni misteriose, pm di cui l’opinione pubblica ignora nomi e cognomi, attenti a non superare il perimetro della provincia in cui lavorano se non per andare in pensione. Altri, invece, sconfinano. Woodcock è già una celebrità e ogni sua mossa ha contraccolpi sui palinsesti delle tv. Da sempre. Il battesimo arriva nel 2003 con il cosiddetto Vipgate, una cascata di settantasei nomi che rimbombano, precipitati nel registro degli indagati per una sfilza di reati: associazione a delinquere, turbativa d’appalto, estorsione, corruzione. Maurizio Gasparri, pure infilato in uno dei filoni del procedimento, si guarda intorno e commenta: «Potrei dire di trovarmi in compagnia degli invitati alla prima della Scala senza neppure esserci andato». Tony Renis gioca sull’ironia: «Il mio legale mi aveva avvisato: vedrai che prima di Sanremo ti sospetteranno anche per il delitto di Cogne. Quasi ci siamo».
Woodcock è senza frontiere. Ma il gip gliele ricorda respingendo una quarantina di arresti per la più elementare delle motivazioni: incompetenza territoriale. Lui è già sulle tracce di nuovi scandali. Getta la rete nel mare pescoso di Potenza e porta a galla Vallettopoli. Poi, come da copione, l’inchiesta viene spezzettata e prende diverse strade: qualcosa resta a Potenza, il resto va a Milano, Torino e Roma. E molti imputati si perdono fra un passaggio e l’altro. Sia chiaro: con Woodcock c’è il fumo e c’è anche l’arrosto. L’inchiesta sulla Lega, pure ripartita fra ben tre procure, non può certo essere liquidata ala voce complotti, anche se l’opinione pubblica non ha ancora compreso fino in fondo chi ha fatto che cosa. Quali siano gli illeciti in questa trama senza fine che mescola gli autisti e le spese del dentista, i costi della famiglia Bossi e i lingotti. E pure il faldone sui contributi all’editoria, contigui a quello dei giornali fantasma e dei soldi della casta, promette bene.
Però, attenzione: anche la sontuosa - è il caso di dire - inchiesta su Vittorio Emanuele pareva un’autostrada a tre corsie e si è progressivamente arenata fra archiviazioni e assoluzioni. Per carità, la figura del principe, raccontata dalle solite microspie, ne è uscita devastata, ma il falò dell’inchiesta è diventato un fuocherello tenue. E vari personaggi, come l’imprenditore Ugo Bonazza o l’ex sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi, sono stati completamente riabilitati dopo aver trascorso settimane fra carcere e arresti domiciliari, con il conforto di titoloni che nemmeno i banditi del West avrebbero meritato. Salmoiraghi, ammanettato in smoking mentre sta andando ad un galà al casinò, viene accusato, addirittura, di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e poi, ancora, di corruzione. Devastante. Il suo legale, Massimo Dinoia, un principe del foro che a suo tempo ha difeso anche Antonio Di Pietro, fa a pezzi senza tanti giri di parole i capi d’imputazione costruiti dal pm e benedetti dal gip: «Non hanno né capo né coda». E infatti, quando secondo uno schema collaudato, le carte arrivano in riva al lago finiscono dritte in archivio. Senza nemmeno passare per l’aula del tribunale. Lui corre verso altri centri di potere. E si scontra con la massoneria, chiedendo alle 103 prefetture italiane gli elenchi completi degli affiliati. Il gran maestro Gustavo Raffi s’inalbera.

«Se Woodcock mi domanda alcuni nomi, nessun problema. Se però pretende l’elenco dei nostri 18.500 iscritti, allora sono di altro parere». Adesso, loggia dopo loggia, è sbarcato a Panama. La caccia al tesoro prosegue dall’altra parte del mondo.

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