Genitori che, armati di microfono e telecamere, cercano di farsi dire dai figli di 3-4 anni «come» e «da chi» hanno subìto violenza. Tre «dvd» dove le madri ricoprono il ruolo cruciale di «inquirente» e i padri quello meno impegnativo di «giurato popolare».
Tre lunghe videoregistrazioni, consegnate successivamente ai carabinieri, in cui le presunte baby vittime dell’asilo di Rignano vengono incalzate da un fuoco di fila di domande: da una parte i piccoli che rispondono con dei monosillabi tentando di sottrarsi a quel «terzo grado» familiare; dall’altro mamma e papà che non gli danno tregua pretendendo dai bambini un’impossibile «confessione-denuncia».
Dottoressa Slepoj, i genitori hanno sicuramente agito in buonafede. Ma è altrettanto certo che la loro iniziativa ha determinato un trauma nel trauma.
«Al momento non siamo in grado di sapere se quei piccoli abbiano subìto gli abusi su cui sta indagando la magistratura. Ma è certo che gli “interrogatori domestici“ ai quali i bambini sono stati sottoposti dai genitori rappresentino una violenza intollerabile e inutile».
Perché «inutile»? Se i figli avessero rivelato ai genitori la verità sugli abusi, a beneficiarne sarebbe stata l’intera inchiesta.
«I genitori non sono psichiatri dell’età infantile. In situazioni delicatissime come questa di Rignano i colloqui con i piccoli vanno condotti da professionisti attraverso modalità ben precise. Le interviste e i filmini “fai-da-te“ hanno invece peggiorato le cose, aumentando nei figli lo stato di disagio e confusione».
Secondo la trascrizione dei dvd «casalinghi» pubblicati ieri dai giornali, una mamma continuava a ripete alla figlia di 3 anni, «bugiarda, sei una bugiarda...», solo perché la piccola si rifiutava di descrivere i «giochi» fatti con i «grandi».
«La sessualità dei bimbi è come un cubo di Rubrik, pieno di facce che bisogna saper decifrate. Dinanzi a un’esperienza di abuso il contesto si complica ulteriormente e se gli adulti sbagliano approccio possono causare danni gravissimi».
Paradossalmente domande dirette del tipo «Ti hanno violentato?», «È vero che è stata la maestra?» ecc. hanno allontanano la verità piuttosto che avvicinarla.
«Domande simili non hanno senso, anzi sono rovinose. Così come sono fuorvianti i “cortei di solidarietà“ che interferiscono nell’attività giudiziaria. Temo poi che la scelta dei genitori di videofilmare i figli risenta anche un modello negativo che proviene dalla televisione».
A cosa si riferisce?
«A quei tanti programmi che veicolano un concetto di investigazione “autodidatta” in base al quale si riuscirebbe a risolvere qualsiasi problema a prescindere dalla specifica competenza professionale».
Vuole dire che oggi troppe persone si improvvisano psicologi dell’età infantile senza esserlo realmente?
«In questo settore gli Stati Uniti sono all’avanguardia. Peccato che molti colleghi, invece che un serio aggiornamento professionale, preferiscano fare passerella nei salotti televisivi».
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