Interrogato per ore sulla P3 «Voglio usare bene la mia voce»

RomaC’è chi, interrogato, sceglie la via del silenzio. Ma Denis Verdini non è tra questi. Il coordinatore del Pdl ieri, dopo essersi dimesso dalla carica di presidente del Credito cooperativo fiorentino (e in Toscana, s’è saputo ieri, è indagato anche per mendacio bancario in relazione ai rapporti tra la banca e la Btp di Riccardo Fusi) si è presentato poco prima delle tre in procura a Roma. Accanto a lui i suoi avvocati, Franco Coppi e Marco Rocchi. Ad attenderlo, il pm capitolino Giancarlo Capaldo, che l’ha iscritto nel registro degli indagati per l’inchiesta sul business dell’eolico e sulla presunta «associazione segreta» che avrebbe fatto capo a Flavio Carboni. E, prima di entrare, Verdini ha concesso ai taccuini dei cronisti una sola, eloquente frase: «Voglio usare bene la mia voce».
Desiderio esaudito. Il faccia a faccia con le toghe romane è durato più di sette ore, e mentre fuori la polemica politica si incendiava, Verdini ha potuto replicare alle contestazioni della procura della capitale. Secondo la quale l’esponente del Pdl avrebbe avuto un ruolo non secondario nel tentativo di Carboni e dei suoi «soci» di buttarsi nel business eolico in Sardegna e nel tessere misteriose e presunte trame.
Verdini, per i pm, avrebbe fatto da tramite tra Carboni e il governatore sardo Ugo Cappellacci. Avrebbe poi caldeggiato la nomina di Ignazio Farris, per la procura gradito alla «P3», al vertice dell’agenzia sarda per l’ambiente. Avrebbe, inoltre, fatto transitare dalla (ormai ex) sua banca fiorentina alcuni degli assegni riconducibili a Carboni e destinati per l’accusa a finanziare il business. E, ancora, avrebbe ospitato «riunioni» nella sua casa romana, alcune delle quali collegate dagli inquirenti sia col filone dell’eolico che con altre presunte «attività» della «Carboneria», come il dossieraggio che sarebbe stato orchestrato per diffamare Stefano Caldoro, candidato dal Pdl alla presidenza della Campania dopo il dietrofront in salsa giudiziaria di Nicola Cosentino.
Accuse, tutte, sulle quali il coordinatore del Pdl ha ribadito la sua versione. Confermando il suo ruolo di mero «tramite» politico verso Cappellacci, anche per la nomina del direttore dell’Arpas, ma negando qualsiasi coinvolgimento nel business eolico. Business che peraltro, come sostenuto proprio dal presidente sardo nel suo interrogatorio, non è mai fiorito per i «carbonari», poiché non solo all’Arpas non sono andate deleghe per l’iter delle concessioni, ma inoltre la Regione a marzo scorso ha deciso per la gestione pubblica degli impianti energetici che sfruttano il vento. Respinti anche i sospetti degli inquirenti sui soldi passati per la banca: per Verdini quei versamenti erano solo una «ricapitalizzazione» della società editrice del Giornale della Toscana a cui avrebbe partecipato Carboni, presentatogli da Dell’Utri.
Quanto alla contestazione di aver violato la legge Anselmi, Verdini ha respinto l’addebito. Ripetendo ieri di fronte a Capaldo, come aveva già sostenuto sui giornali, di «non aver mai fatto parte» della cosiddetta «P3», «di cui non sono mai stato a conoscenza». E anche sui «vertici» a casa sua, quelli che per i pm erano organizzati nell’interesse della presunta loggia, il coordinatore del Pdl ha detto la sua a verbale. Rivedendo al ribasso il numero degli incontri con Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi («Le tre persone arrestate mi sono state portate a casa una o due volte, e non otto»), e smentendo categoricamente che all’ordine del giorno di quelle riunioni si sia «mai parlato del lodo Alfano, di pressioni sul Csm o sulla Cassazione». Tantomeno di «infangare» Caldoro.

Le notizie sulle presunte preferenze sessuali del candidato in Campania Verdini non ha negato di averle apprese contestualmente alla «caduta» dell’ipotesi-Cosentino. Ma proprio lui fu incaricato di parlarne con Caldoro. Che fece oscurare i siti che lo infangavano. E vinse le elezioni.

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