Cronaca locale

Interventi pubblici, dibattito in Statale

Era il 1947 quando Giorgio Strehler e Paolo Grassi fondarono a Milano il Piccolo Teatro in via Rovello. Dopo più di sessant'anni dalla nascita del primo teatro pubblico italiano, l'Università Statale decide di fare il punto davanti a decine di studenti, tracciare un bilancio e, soprattutto, capire se oggi abbia ancora senso parlare di «teatro pubblico», cosa significhi e come questo dovrebbe essere per assolvere pienamente alla sua funzione. Proprio ieri, nella sede di via Noto dell’ateneo, l'intera giornata è stata dedicata all’argomento, sul quale si sono confrontati direttori di teatro, registi, giornalisti e rappresentanti delle istituzioni, coordinati da Paolo Bosisio, direttore del dipartimento di Teatro e dello Spettacolo. Sisto Dalla Palma, direttore del Crt, Fiorenzo Grassi, direttore di Teatridithalia, Gianni Valle, Carlo Festa, direttore artistico del Balletto di Milano, Marco Sciaccaluga, condirettore dello Stabile di Genova, oltre a Corrado D'Elia, attore, regista e direttore del Teatro Libero, Antonio Calbi, direttore del settore spettacolo del Comune di Milano, Renato Palazzi, critico del Sole 24 ore, e Margaret Rose, hanno preso parte a un dibattito ampio e articolato, non privo di sorprese. Impossibile non notare i due grandi assenti, ovvero proprio i rappresentanti del Piccolo Teatro, Luca Ronconi e Sergio Escobar. Presupposto dell’incontro: il teatro, come bene pubblico, dev'essere finanziato almeno in parte dallo Stato, quindi dovrebbe esistere in materia una normativa chiara che sancisca regole e modalità. Non condivide pienamente Sisto Dalla Palma, del Crt: «secondo me non è un problema di regole. Anzi, semmai ce ne sono troppe: un ente pubblico non dovrebbe entrare proprio nella gestione di un teatro, la cultura è un atto libero». Se, secondo Grassi, il punto focale è quello di «resettare il sistema dei fondi, togliendo agli amministratori locali la loro parte di "eventismo" nell'organizzazione di questo o quell'evento», è anche vero che, come dice Sciaccaluga, «il teatro senza l’aiuto dello Stato non può farcela».

Corrado D'Elia, che difende con fierezza i suoi quarant'anni («chissà ancora per quanto sarò considerato giovane»), non guarda con risentimento alla gestione dei fondi: «non servono nuove regole bensì un nuovo spirito per affrontare il problema».

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