Madrid Questa volta Mariano Rajoy corre più forte. Lo sa che domenica potrà vincere. I socialisti sono indietro e quasi non si vedono. Quindici punti di vantaggio, diciassette per gli ottimisti. Fuori è il deserto rosso lasciato da Zapatero. Restano le macerie di un miracolo crollato in mille pezzi. Lo zapaterismo è finito, e in giro restano gay in fuga verso il matrimonio prima che le regole cambino. Il crollo di Bambi si è portato dietro tutta la sinistra. I sogni, le utopie.
Ora tocca a lui. Mariano si muove veloce, mancano pochi giorni al voto. «Gli ultimi giorni sono anche i più intensi». Fuori c’è il suo staff che lo aspetta, bisogna partire per gli ultimi comizi elettorali, ci sono i giornalisti che pressano per un’intervista.La sfida di Rajoy resta farsi conoscere. Domenica è già qui e ci vuole tempo a convincere gli indecisi, a far cambiare idea a tutti gli indignados che hanno minacciato scheda bianca. «Il mio sarà un governo di centro. Questa è una promessa. E governeremo per tutti con moderazione e dialogo». Lui deve convincere, togliersi di dosso quel grigio che i suoi nemici gli hanno dipinto addosso. Lui, che ha già perso due volte contro Zapatero.
Gli analisti che predicono la sua vittoria dicono che non è la destra che vince ma la sinistra che perde. Lei cosa risponde?
«Giudichi lei con i dati. Quando il Pp arrivò al governo nel 1996, dopo 14 anni di governo socialista, in Spagna c’era una disoccupazione del 23 per cento e non c’erano soldi per pagare le pensioni. Negli otto anni di nostro governo, tra il 1996 e il 2004 abbiamo creato cinque milioni di posti di lavoro e le pensioni rivalutate anno dopo anno. Oggi la storia si ripete. Dopo quasi otto anni di governo Zapatero la disoccupazione supera il 22 per cento, ci sono 5 milioni di disoccupati, pensioni congelate e salari più bassi e debiti per 15mila milioni di euro nella sanità pubblica ».
E la crisi globale non la conta?
«Si certo, io non voglio dire di avere la bacchetta magica, ma a differenza dei socialisti sapremo creare posti di lavoro. Questa è la grande differenza. Metteremo in marcia una riforma integrale del mercato del lavoro che possa rispondere in modo efficace al peggior dramma sociale degli ultimi tempi: cinque milioni di disoccupati».
Cosa cambierà rispetto al governo Zapatero?
«A differenza loro, noi faremo un governo di dialogo, moderato e per tutti. Con responsabilità e criterio ».
Quale legge di Zapatero vorrebbe cambiare?
«Quella sull’aborto. Cambierei la facoltà per le minori di abortire senza informare i genitori. Sì, questa parte della legge la toglierei».
Sacrifici o crescita? Quale sarà la sua ricetta per la Spagna?
«La mia ricetta è chiaramente tornaresulla strada della crescita economica e la creazione di impiego. Il mio grande obbiettivo è questo: creare impiego perché non è possibile che un grande Paese come la Spagna abbia 5 milioni di senza lavoro e con una disoccupazione giovanile che sfiora il 50 per cento. E la parola d’ordine è fiducia. È per questo che dobbiamo subito approvare la legge di stabilità e restaurare il sistema finanziario».
E i sacrifici?
«Certo, bisogna mettersi in mente che per uscire dalla crisi dovremo prepararci all’austerità. I tagli saranno necessari un po’ su tutto. Eliminare diverse istituzioni a livello regionale, fare meno opere pubbliche per dare la priorità a quelle già in cantiere. Ma non si taglierà sulle pensioni. Il potere d’acquisto non si deve toccare».
Quale futuro vede per la Spagna?
«Sono ottimista. Ci chiamavano quelli del miracolo, e io c’ero. Con il governo del Partito popolare in Europa ci guardavano con ammirazione. So come ci trattavano: con rispetto. Nel nostro Paese si creava gran parte del lavoro che si creava in Europa.
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